Se Andrea Orlando farà veramente la scelta di restare in Liguria, armando una vera opposizione al Bucci presidente di Regione e più in generale al potere regnante del centro destra-destra in questa regione, ex roccaforte rossa, potremo sperare, noi vecchi osservatori, di tornare a divertirci. E non tanto perché immaginiamo che con la sua personalità, maturata in tanti ruoli importanti a livello nazionale, sfiderà il governo ligure frontalmente e con armi nuove.
Ma perché si potrà sperare anche in una dialettica politica un po’ più “alta” rispetto a quella che viviamo oramai da tanto tempo. Siamo un po’ stanchi di raccontare questa antitesi di amministratori governati, che “criano” come Bucci e classificano l’opposizione come “il partito dei no” o della “decrescita felice” e di oppositori, che non ribattono con contro dossier, contro programmi, contro soluzioni, ma lamentano la prepotenza, la non trasparenza, l’invadenza della maggioranza, che poi supera anche gli “incidenti” giudiziari.
È stata ed è ancora una politica che assomiglia più alla propaganda, un vicolo cieco, sempre in attesa di esaltarsi nelle campagne elettorali, davanti alle quali poi i cittadini, l’opinione pubblica scappano, fuggono sempre di più verso l’astensionismo.
Non vogliamo caricare Orlando dell’intera responsabilità di alzare il tono, di far prevalere la logica politica all’urlo, all’insulto, allo scontro sistematico.
Ci vuole un dialettica anche dall’altra parte e sarebbe urgente, perché le emergenze che stanno schiacciando la Liguria sono tali da imporre un confronto vero sulle scelte, qualche mediazione. E se il buongiorno si vede del mattino non sembra che il nuovo governo e la nuova opposizione, appena schierati in consiglio regionale, sono su questa strada. Anzi. Se si incomincia a litigare per i ritardi in aula…
La responsabilità della sinistra-sinistra, o se vogliamo del centro- sinistra, sono maggiori perché a loro tocca costruire una forza adeguata in regione e una candidatura “nuova” nella campagna elettorale comunale, già di fatto incominciata. Compiti davanti ai quali non basta fare di conto con il risultato delle ultime regionale nella città di Genova, in quella di Spezia e a Savona. E lisciarsi i baffi.
C’è un problema di “confini” larghi e stretti delle alleanze nei quali anche dopo la sconfitta di Orlando nelle Regionali la partita va giocata in ogni angolo.
Aspettiamo che l’angolo ex Cinque Stelle, domani forse Democratici Progressisti, si chiarisca senza tante speranze per la verità. Ma il resto di quella che qualche creativo ha definito “sinistra diffusa”?
Nella scorsa settimana c’è stata una adunata di questa presunta “sinistra diffusa”, sotto il titolo leniniano “Che fare?”. Poteva essere una occasione per una scintilla nuova, a incominciare da chi avrebbe partecipato, oltre a qualche rappresentante della sinistra ufficiale. come il segretario provinciale Pd, Simone D’Angelo, il capogruppo Davide Patrone, che hanno fatto atto di presenza e nada mas, l’ex candidato sindaco Ariel Dello Strologo, Stefano Giordano, coordinatore regionale 5 Stelle, le nuove speranze incarnate, tra gli altri dal nascente leader Andrea Acquarone, banditore dell’assemblea, da Francesca Ghio, poi diventata protagonista vera il giorno dopo, con la sua coraggiosa denuncia in Consiglio Comunale delle violenze subite da bambina, dal guru” dei movimenti progressisti, Pietro Mensi, facondo ed efficace, da Camilla Ponzano, da Luigi Cornaglia, dal già post possibile candidato Marco Montoli, l’ex leader del Ce.sto.
Ma chi c’era d’altro, oltre a qualche storico testimone, come l’architetto Giovanni Spalla, lo scrittore Bruno Morchio?
Ci si poteva aspettare qualche social liberale, come Arcangelo Merella, che bascula un po’ tra gli schieramenti, ma resta un socialista vero, quindi possibile interlocutore allargato nella visione dei confini.
Ci si poteva aspettare anche qualche datato tecnocrate, interessato al fare, qualche professionista non della politica, ma dei mestieri, non solo del volontariato. Ma non c’era. Il fronte renziano assisteva, comunque, con Eugenio Musso.
Insomma una occasione persa anche se, alla fine, è uscita di nuovo la proposta delle Primarie e una quasi autocandidatura di Acquarone, colui che non a caso aveva lanciato “Che l’inse”, moto anticipatore, che è sembrata come una ammissione chiara: i partiti da soli non ce la possono fare. Proviamo altro. Si deve aprire una “narrazione diversa”, magari quella che Mensi ha dipinto con il suo tocco professionale.
Ma per fare quello ci vuole tempo e non ce ne è.
Ci vuole un candidato subito e oggi non c’è, né storico dei partiti di sinistra, né “diffuso”, né civico perchè pezzi di società civile esterni, magari anche un po’ più anziani, quarantenni, cinquantenni, non sono comparsi in nessuna forma nel ridotto del teatro della Tosse, dove l’assemblea si era autoconvocata, cercando un po’ vecchi schemi e sintonie nuove.
È apparsa infine solo come una sinistra-sinistra, con qualche singulto buono, ma anche con il timore nascosto del tempo che corre. Troppo veloce. A meno che, appunto, non ci pensi Andrea Orlando. Non a candidarsi ancora, ovviamente, ma a portare una linfa nuova e aggregante.
IL COMMENTO
La margherita di Orlando e la sinistra “diffusa”
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