“Attenzione, in questo paese i bambini giocano ancora per strada” è il testo del cartello stradale che è apparso negli ultimi giorni a pochi metri dalla piazzetta della frazione di San Bernardo, a Bogliasco, nel levante genovese. Subito prima della piazza, dove ci sono i giochi per i bimbi e un campetto in cui si alternano tutte le generazioni a tirar calci a un pallone o a provare qualche canestro.
Quelle parole ammoniscono chi arriva (e spesso vi arriva a tutta velocità) verso il centro della frazione, dicendo agli automobilisti che è il caso di rallentare ma ricordano anche come per fortuna la strada sia ancora un posto da poter considerare sicuro e luogo di crescita fertile per il fisico e la socialità delle nuove generazioni.
Chissà se quei Suv lo vedranno il cartello. Però una cosa è sicura: è un diritto e un bisogno, quello del gioco, che di certo non ha inventato oggi Bogliasco e che in questi anni, e ancor più in queste settimane è diventato un tema forte. A partire – in ordine cronologico – dal covid che ha fatto nascere in noi quel sentimento di mancanza della relazione, della socialità e dell'aria aperta dal primo lockdown in avanti. Ecco perché nei mesi scorsi cartelli simili sono spuntati da nord a sud d'Italia.
Ce ne sono ben sette a Roccavignale, in provincia di Savona. Lo stesso cartello saluta l’entrata a Borgo d’Oneglia, a Imperia. Avvistati anche a Murta e a Busalla. In alta Val Trebbia, a Cerignale (Piacenza) il cartello è realtà da tempo. E ancora, viaggiando lungo lo stivale, li troviamo a Malagnino (Cremona), a San Miniato (Pisa), a Bibbiena (Arezzo), a Sfruz nel cuore della Val di Non trentina, a Cazzago in provincia di Varese, a Vione (Brescia) e poi nel barese a Rignano Garganico, a Tagliacozzo (L'Aquila). Infine le isole: il cartello è segnalato in Sicilia a Monterosso Almo (Ragusa) fino alle montagne famose per i mamuthones di Mamoiada in provincia di Nuoro nella bella Sardegna. E siamo certi di non averli nemmeno citati tutti.
La tradizione dei cartelli “kids zone”, “slow kids”, “slow down kids playing”, che ribadiscono il concetto del diritto al gioco per strada dei bambini e delle bambine a dirla tutta non ha radici italiane ma anglosassoni ed esistono da molto prima dei nostri nei paesi occidentali anglofoni. In verità in Italia ai bambini più che il diritto al gioco abbiamo negli anni ricordato soprattutto cosa era vietato fare: quanti cortili condominiali e quante piazze ancora mantengono, in qualche angolo, quei cartelli datati anni Trenta in cui si dice che “è severamente vietato il gioco della palla”?
La seconda riflessione è più delicata ed è quel paragone nella mente e nel cuore di tutti noi tra il gioco per strada dei nostri bambini e l'impossibilità per tanti, troppi, in Ucraina come in Siria come in tutte le zone di guerra del mondo di giocare, oggi, per la strada. Tra rabbia e senso di ingiustizia che ci pervade, sono spesso i poeti a riuscire a raccontare meglio di noi giornalisti cosa è la guerra, per un bambino.
I bambini giocano alla guerra.
E’ raro che giochino alla pace
perché gli adulti
da sempre fanno la guerra,
tu fai “pum” e ridi;
il soldato spara
e un altro uomo
non ride più.
E’ la guerra.
C’è un altro gioco da inventare:
far sorridere il mondo,
non farlo piangere.
Pace vuol dire
che non a tutti piace
lo stesso gioco,
che i tuoi giocattoli
piacciono anche agli altri bimbi
che spesso non ne hanno,
perché ne hai troppi tu;
che i disegni degli altri bambini
non sono dei pasticci;
che la tua mamma
non è solo tutta tua;
che tutti i bambini
sono tuoi amici.
E pace è ancora
non avere fame
non avere freddo
non avere paura.
(Bertold Brecht)
IL COMMENTO
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