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di Franco Manzitti

GENOVA-Troppe opere pubbliche, grandi lavori, progetti in corso e progetti da sogno, funivie, seggiovie, skytram, tunnel sub portuali, mega ristrutturazioni e dall’altra parte la sfida sociale delle diseguaglianze, l’accusa alla politica del fare, sottintendendo fare i propri affari, il depauperamento demografico, la fuga dei giovani.

E in queste due narrazioni così diverse, elittiche come mai nella lunga storia degli scontri elettorali genovesi, dove sta la cultura, che ora sì che fa mangiare e che non è solo riproporre i Rolli ogni tre per due?

A Genova esiste una grande questione culturale, banalizzando un po’ il termine, cui non sembra pensare nello strisciare di questa campagna quel centro destra che “cria” e progetta, né quel centro sinistra che sottolinea il declino etico morale, lo sconquasso sociale, il depauperamento giovanile, la rassegnazione. Tutto sacrosanto, ovviamente, ma andiamo oltre,  che siamo nel Terzo Millennio delle grandi contaminazioni culturali non solo di quelle disastrose geopolitiche.

Eppure dal 1992 in avanti, e passando per il 2004 dell’Anno di Genova capitale della Cultura europea, una svolta secca c’è stata. Si sono aperti gli scrigni dei tesori genovesi, segreti e nascosti, e si è scoperta una bellezza che era velata dalla coperta grigia della grande capitale Iri e della portualità dei soffocanti monopoli pubblici, la riserva del lavoro in banchina, la macchina anche un po’ privilegiata del Cap, il binomio micidiale Cap-Culmv.

Allora la più grande attrazione turistica culturale a Genova era il Cimitero di Staglieno con i suoi capolavori e la sua monumentalità. Poi si è rovesciato tutto tra la riconversione del Ducale, diventato un Beaubourg, la ricostruzione, seppure contestata nei metodi e nelle misure, del Carlo Felice, e i nuovi teatri della Corte.

Un afflato, uno spirito ha spolverato un po’ tutta la città anche grazie alla resurrezione di Via Garibaldi pedonalizzata, con i suoi palazzi disvelati uno a uno e anche fuori dalla Strada dei Re. Grazie dagli anni Settanta al seguito alla zarina Caterina Marcenaro e alle sue degne successore, Rotondi Terminiello e Gavazza, tanto per fare i due nomi più altisonanti degli ultimi decenni, il patrimonio segreto, sepolto ha incominciato a emergere, sfolgorante di bellezze diverse.

Per non dire delle collezioni private che quello spirito, anche riservato e reticente aveva “coperto”, tra generosità e pudori di mecenati, facondi e silenziosi, Angelo Costa, i Zerbone… e tanti altri.

E ora tutto questo dove finisce, nella politica liquida di oggi, negli imperativi efficientisti di Bucci e nella trama addolorata del centro sinistra di Dello Strologo?

La cortina fumogena delle battaglia per le preferenze e i gas fumosi della contesa elettorale nasconde forse le intenzioni delle coalizioni e dei candidati sindaci su questo capitolo così delicato, eppure l’assessorato alla Cultura, come il vertice di palazzo Ducale,  dimissionario o in scadenza, come la gestione dei grandi palazzi di Strada Nuova, sono partite chiave del futuro, dopo la gestione molto fluida (usiamo questo termine di moda senza allusioni fuori luogo) degli ultimi anni.

Genova ha ora bisogno di un assessore o di una assessora alla Cultura “forte”, solida, con basi e contenuti di fondo e competenze tecnicamente specifiche che non siano solo relationship e capacità di marketing esterno e interno. Ha bisogno di personaggi esperti e “densi” nelle loro radici e nella capacità di innovare.

Più in generale ci vuole una regia complessiva che tenga insieme in modo coerente ogni filo della trama culturale cittadina, senza favoritismi e camarille di piccoli e grandi gruppi di potere.

È sempre stato difficile scegliere quei ruoli anche per i sindaci del passato, soprattutto dopo il crollo dei partiti ideologici che trovavano sul terreno  le decisioni suggerite dagli schieramenti. Fossero quelli marxisti o quelli cattolici, perfino quelli liberali per quel poco che ci furono.  Ed è stato difficile perfino per sindaci “forti” e decisi come Beppe Pericu, o estroversi come Marta Vincenzi.

Ora lo è ancora di più nel confine sfrangiato tra amministratori, società civile, esperti, tecnici o supposti tali, che invadono talk show e social con pretese di competenza spesso fuori luogo. Quindi auguri e buone scelte anche per questo settore un po’ trascurato in quelle “narrazioni” di una campagna molto sfumata sul tema.     

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