Cronaca

Le polemiche dopo la testimonianza del dirigente di Edizioni. I legali degli accusati lo attaccano: "Si è rivelato inattendibile"
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di Michele Varì

GENOVA -"Non posso rinascere, ormai è andata così, e so che i morti sono quelli che ci hanno rimesso la vita, se mi indagano? Facciano pure, io sono qui".


Si rammarica Giann Mion, il super mananger di Edizioni la cassaforte di Atlantia e dei Benetton, che davanti ai giudici del processo Morandi ammette le sue debolezze, i suoi errori e le sue colpe.

Arrivato a Genova dal suo Veneto dopo la testimonianza ha parlato, e pure a lungo, con i giornalisti, come a sfogarsi.
Raccontando che lui rimase allibito quando, nel 2010, in una riunione della holding apprese che Autostrade, pur consapevole di un vizio di progettazione, si autocertificava la sicurezza del viadotto affidandola a Spea, l'azienda satellite. Allibito perché il controllore doveva essere esterno.

Ma lui allora non parlò, forse, per egoismo: "Forse ho avuto paura di perdere il posto di lavoro", lui il super manager con un lungo curriculum ai vertici delle più importanti.

Ma allora nessun altro dei partecipanti alla riunione , a suo dire, si stupì dei controlli fai da te, neppure Gilberto Benetton, il rampollo della famiglia dei magliari veneti
Non si era scomposto, allora, neppure Giovanni Castellucci, l'amministratore delegato di Aspi, una creatura di Mion, da lui assunto, il principale imputato della tragedia del 14 agosto del 2018 che vede alla sbarra 58 imputati, un imputato eccellente che lui nonostante tutto continua a stimare: "una persona in gamba".



Le parole di Mion, note alla procura, hanno fatto rumore in aula, un avvocato degli imputati ha detto che ci sono gli estremi per chiedere che sia indagato. Il giudice Lepri ha detto che esaminerà l'istanza. I magistrati, che il Mion pensiero lo conoscevano già, paiono non dare nessuna possibilità a questa svolta. Mion non aveva ruoli decisionali in Aspi.

Il giorno dopo gli avvocati difensori dei 58 imputati hanno diramato un comunicato per dire che "le dichiarazioni di Mion sono prive di riferimenti oggettivi e riscontrabili e rese da un soggetto che si è dimostrato inattendibile", perchè pare che nel ricordare l'incontro ha citato dirigenti che invece quel giorno non c'erano.


Qualcuno dice che il cassiere dei Benetton non è finito sotto accusa per equilibrismi giuridici, o peggio trattative, o solo perchè se fosse stato indagato lui, a finire sul registro degli indagati dovevano essere in tanti, della famiglia dei maglioncini di cashmere, e al Mit, al Ministero delle Infrastrutture.
Tanti politici di rango verranno in aula nelle prossime settimane, ma tutti come Mion, senza un avvocato.

Indignati per le parole del Mion i familiari delle vittime.
Egle Possetti, la portavoce del comitato che li riunisce, si chiede "come ha fatto Mion a non parlare quel giorno e come fa a dormire la notte".

Duro anche Emmanuel Diaz: "Mion ha confermato l'assenteismo dei controlli dello Stato. Ma lui non va scagionato, le sue parole "abbiamo dato troppo potere a Castellucci" equivalgono però a "abbiamo creato un mostro e non siamo riusciti a contenerlo". Lui stesso si definisce responsabile morale della tragedia, per me anche di più, ma almeno non è un codardo come gli imputati".

Mion davanti alla possibilità di essere indagato non si è scomposto, come rassegnato, perchè tanto, fa capire, la sua condanna ce l'ha già: "Ci penso spesso, tornassi indietro farei altre scelte, ma - ripete - non si può rinascere".

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