GENOVA -Alla polizia avevano dichiarato di non avere visto e non sapere nulla d'importante del delitto di Nada Cella (nella foto), in realtà sin dai primi giorni dopo l'omicidio avrebbero mentito ai poliziotti della squadra mobile, avrebbero detto bugie apparentemente senza nessun motivo, solo per paura di esporsi, per evitare rogne. L'omertà con la O maiuscola.
Quello che si diceva subito dopo l'omicidio della segretaria avvenuto il sei maggio del '96 nello studio (nella foto) del commercialista Marco Soracco nel civico 6 di via Marsala, nel cuore di Chiavari, è drammaticamente confermato dall'indagine che ha dato una svolta al cold case: l'assassino, o l'assassina, come si ipotizza ora con il rinvio a giudizio per omicidio di Anna Lucia Cecere, per 25 anni è stato protetto dall'omertà degli inquilini del palazzo e anche dai poteri forti di Chiavari, Curia compresa, dove erano in tanti a sapere, ma nessuno ha mai parlato con gli inquirenti.
Lo rivelano gli atti dell’inchiesta con cui il pubblico ministero Gabriella Dotto chiede il processo per l’ex insegnante, oggi residente a Boves, nel cuneese.
Due inquilini sono indagati per favoreggiamento della presunta assassina, il commercialista Marco Soracco e la mamma novantenne Marisa Bacchioni. Loro, come Fausta Bacchioni, zia di Soracco morta per covid nel 2021, hanno sempre negato che Cecere potesse avere ucciso Nada perché, come ipotizzano gli inquirenti, voleva prendere il suo posto di lavoro e anche lasciarsi alle spalle l'infanzia di deprivazioni e povertà diventando la moglie del commercialista.
Eppure Marisa Bacchioni aveva ricevuto e registrato una telefonata in cui una donna indicava Cecere come l'assassina e lei stessa aveva confidato a un frate che l'assassino non era suo figlio "ma quella donna che si era invaghita di lui".
Soracco continua a dire che conosceva appena Cecere, nonostante lei subito dopo avere subito una perquisizione nel '96 lo avesse chiamato dicendo che non era innamorato di lui, anzi che a lei lui "faceva schifo". Nega anche se per gli inquirenti l'avrebbe vista sul luogo del delitto, poco prima delle 9 del mattino di quel tragico lunedì sei maggio.
Soracco per gli inquirenti è stato protetto dalle reticenti dichiarazioni di due inquiline entrambe poi decedute.
La prima Liliana Lavagno, abitante al primo piano, dallo spioncino vedeva ogni movimento, alla polizia disse che aveva sentito un tonfo e sentito solo il rumore di una persona che fuggiva dal palazzo. Ma poi alle sorelle Bacchioni ha detto di avere visto dalla finestra Cecere mentre fuggiva sullo scooter, aggiungendo "se si fosse girata mi avrebbe vista".
Per gli inquirenti avrebbe mentito anche Egle Sanguineti, che abitava al terzo piano, alla polizia disse che Soracco era entrato nello studio dopo le 9, ossia dopo il delitto, ma in una telefonata con la figlia Lorenza dice, in accordo con il marito Oscar, che il commercialista era andato nello studio quando mancano dieci minuti alle 9, ossia all'ora in cui Cecere avrebbe assalito e ucciso Nada colpendola alla testa con una pinzatrice e un fermacarta di onice. Forse la Sanguineti aveva mentito perché provata dal fatto che un'altra sua figlia, Luciana, disabile deceduta da anni, era stata indagata e poi archiviata per il delitto.
Dagli atti dell'indagine trapela anche che Cecere dopo l'omicidio ha cercato di depistare le indagini a suo carico chiedendo al suo fidanzato, Adelmo, di spostare il periodo della relazione e della fine del rapporto ad una data successiva al 1996 al fine di far saltare il movente del delitto ipotizzato dalla procura, ossia che Nada poteva essere stata uccisa da Cecere perché gelosa del suo datore di lavoro Soracco.
Scrive il magistrato nelle carte: “Cecere in questo modo voleva poter sostenere di non aver avuto alcun interesse sentimentale per Soracco perché già impegnata”. Un tentativo che l’ex insegnante mise in atto con modi forti tanto che lo stesso Adelmo, sentito poco dopo dalla polizia, racconta come la Cecere lo abbia cercato “in maniera pressante e ossessiva” per farlo mentire. Non solo: per trovare il suo numero di cellulare – visto che i due avevano interrotto da tempo il loro rapporto – Cecere “si finge una collega di lavoro che studiava a Napoli con lui”, viene indicato.
L’ex, però, non cede. E nella telefonata resta fermo sulle date reali. Che ben si ricorda perché coincidono con la fine del periodo d’insegnamento al Nautico di Chiavari e l’inizio della sua carriera come docente a Genova. Scrive il magistrato come “il diverso ricordo che ha Adelmo di questi avvenimenti e la fermezza che mostra nell’affermarlo provoca in lei apprensione e disagio evidente”.
E ancora sempre nelle carte dell’inchiesta emerge il particolare fra i più inquietanti. Anna Lucia Cecere la sera stessa in cui Nada era stata uccisa chiamò un’amica molto vicina alla famiglia Soracco per chiedere proprio il posto di lavoro di Nada che era morta da poche ore al pronto soccorso dell’ospedale di San Martino dove era stata trasportata in condizioni disperata da quello di Lavagna.
A svelare questa folle richiesta è stata la stessa madre di Soracco, Marisa Bacchioni parlando la sera del maggio del 2021 con un’amica di nome Tina: “Ha telefonato la sera stessa che la televisione ha detto che quella ragazza era morta. Erano le sette di sera e ha chiamato un’amica di mio figlio per dire se dava lei il lavoro di Nada”. L’anziana, oggi novantuno anni racconta come la stessa amica le buttò giù il telefono accusandola di aver lucrato su una persona morta.
IL COMMENTO
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