Cronaca

L'uomo condannato per avere ucciso la sorella dopo le due aggressioni subite in carcere sarà curato al San Martino, poi potrebbe essere trasferito nell'istituto di pena di Torino
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di Michele Varì

GENOVA -Non ha detto una parola da Imperia e sino a Genova, nell'ora e mezzo di viaggio ha solo chiesto di potersi distendere sulla barella dell'ambulanza, poi silenzio, il niente per oltre 120 km, dall'ospedale imperiese sino al "repartino" del carcere di Marassi situato sotto il pronto soccorso del San Martino.

Alberto Scagni, il genovese condannato a settembre a 24 anni e 6 mesi dalla corte di Assise e riconosciuto semi infermo di mente per avere ucciso il primo maggio del 2022 la sorella Alice con 24 coltellate, è tornato a Genova da detenuto, con la scorta della polizia penitenziaria. Un'auto davanti, un'altra dietro all'ambulanza della Croce D'Oro di Cervo con due militi a bordo.

Al San Martino Scagni, a prima vista lucido, quando si è trovato davanti il cronista l'ha guardato con disprezzo mostrando il dito medio. Poi ancora silenzio sino a quando non è sparito nel repartino.

Scagni ad agosto dello scorso anno è stato aggredito da un detenuto in una cella di Marassi, poi, dopo la condanna per l'omicidio a novembre, è stato nuovamente picchiato in galera, stavolta in modo più grave, da due detenuti nel carcere di Valle Armea, a Sanremo, dove era stato trasferito: stavolta è finito in coma farmacologico. Quindi, appena si è ripreso, dopo un mese, il ritorno a Genova. Quando sarà curato potrà essere trasferito in un altro carcere, forse a Torino.

I genitori di Alberto,  Antonella e Graziano, adesso chiedono di sapere chi ha aggredito il figlio a Marassi e a Imperia e denunciano ancora una volta l'incapacità dello Stato: prima non in grado di evitare l'omicidio della figlia, a loro dire annunciato, e ora non incapace di garantire la sicurezza di Alberto in cella.

Il legali di Alberto Scagni, gli avvocati Alberto Caselli Lapeschi e Mirko Bettoli hanno presentato un esposto per chiedere invece alla procura di identificare l'aggressore di Marassi visto che "nonostante i ripetuti solleciti anche a mezzo Pec ci è stato detto che non potevano indicarci il nome".

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