Cronaca

L'ex patron del Genoa ha ricordato le intimidazioni, ma negato richieste di denaro: "Soldi dalla società? Non so, la gestione era nelle mani dell'ad Zarbano". I rapporti con Chiara Ferragni
2 minuti e 18 secondi di lettura
di Miv

GENOVA -"Certi personaggi dovrebbero andare  in galera e non dovrebbero entrare nel mondo dello sport, purtroppo ci entrano per vie traverse e vengono addirittura osannati e influenzano migliaia e migliaia di persone e questo è deleterio per qualsiasi società".

Lo ha detto in tribunale ai giornalisti l'ex presidente del Genoa Enrico Preziosi in veste di testimone al processo a 15 imputati, molti dei quali tifosi rossoblu come Massimo Leopizzi, accusati di pressioni e intimidazioni nei confronti di esponenti della società del Genoa all'epoca in cui lui era presidente.

Preziosi, presidente del club dal 2003 al 2021, ha ricordato il clima di forte intimidazione da parte di chi "rappresenta il peggio del calcio". Ma ha negato di aver mai ceduto a richieste di denaro o di essere stato a conoscenza di versamenti: "Io purtroppo o per fortuna mi sono occupato solo di fatti tecnici che poi hanno portato agli esiti che conosciamo, il mio mestiere  era un altro, di fare l'imprenditore a Genova e nel mondo e quindi ho lasciato ampie deleghe all'amministratore delegato Alessandro Zarbano".


L'imprenditore di Avellino ha poi aggiunto: "Non sono arrabbiato per queste cose, e avremo modo di chiarire tutto. Ma chi vive a Genova è sottoposto a pressioni giornaliere e quindi certi comportamenti posso anche giustificarli, a Genova non è come Milano, dove si lascia lo stadio e poi se ne va, chi vive a Genova si subiscono pressioni e si capiscono certi comportamenti".

Secondo l'accusa del pm Francesca Rombolà l’estorsione degli ultrà al club sarebbe avvenuta tramite società che fornivano steward e hostess e avrebbero fruttato oltre 310mila euro tra il 2010 e il 2017.

Preziosi in aula ha detto di non aver mai conosciuto l'albanese Arthur Marashi, uno degli indagati, ma di conoscere bene Massimo Leopizzi. Ricordando un episodio del 2005 dopo la famosa partita Genoa Venezia costata la retrocessione alla società rossoblu:
“Mi invitarono in un ristorante che poi ho saputo collegato a Leopizzi. Volevano che ammettessi di aver comprato la partita e altre gare, io non confessai perché non era vero e me ne andai. Seppi che mi avevano registrato. Fu un incontro concitato, Leopizzi urlò ‘Il Genoa è mio e decido io’, io gli risposi che allora poteva cominciare a pagare gli stipendi”.

Alla domanda dei giornalisti se dopo queste inchieste sugli ultrà aperte in più città ora ci sono gli anticorpi affinché questi ricatti e  violenza non avvengano più, Preziosi ha detto: "Oggi con l'ingresso delle società straniere forse questo problema si attenuta perché forse le  società straniere non riuscirebbero a comprendere perché si devono avere rapporti con le tifoserie"

L'ex presidente del Genoa ha risposto anche sui contatti con Chiara Ferragni relativi alla promozione di bambole del marchio Giochi Preziosi: "Lei ha commissionato delle bambole e poi quello che ne ha fatto non c'entra con la nostra azienda".

ARTICOLI CORRELATI

Martedì 19 Dicembre 2023

Estorsioni al Genoa, interrogatorio di Preziosi rinviato a gennaio

GENOVA - "Quando Massimo Leopizzi voleva i soldi i modi non erano di certo gentili". Lo ha detto in aula al processo per le presunte estorsioni al Genoa da parte degli ultrà, Roberto Anchini, direttore tecnico di 4Anyjob. La società, secondo l'accusa, avrebbe fatto false fatture per fare arrivare al