Cronaca

Il giudice Lippini a settembre dovrà decidere tra Genova, Roma, Bologna o spezzettare il procedimento nelle tre diverse città, ma la decisione potrebbe essere rinviata alla Cassazione
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di Michele Varì

GENOVA - Va a rilento il processo del Morandi bis, la  costola dell'indagine nata dall'inchiesta principale sulla tragedia del 14 agosto 2018: solo a settembre si saprà se il procedimento che vede alla sbarra 47 indagati potrebbe rimanere a Genova, essere trasferito a Roma o a Bologna o anche essere spezzettato nei tre diversi tribunali.
La richiesta di trasferire il processo nato dai falsi report sullo stato dei viadotti, le barriere antirumore non a norma, il cedimento della galleria Bertè in A26 avvenuto il 30 dicembre 2019 e il mancato rispetto delle norme europee per la sicurezza nei tunnel è stata avanzata dai legali di alcuni indagati che hanno sottolineato come alcuni dei reati sarebbero stati consumati negli uffici romani di Autostrade per l'Italia e bolognesi di Spea, la società di ingegneria che avrebbe dovuto controllare Aspi.

Ancora nella fase dell'udienza preliminare, la decisione sulla sede del procedimento bis dopo ancora alcune udienze interlocutorie delle discussione delle difese dovrebbe avvenire a settembre alla ripresa delle attività giudiziarie. Toccherà al giudice Alberto Lippini decidere la sede o l'ipotesi spezzatino, o anche rinviare la decisione alla Corte di Cassazione.

Ma entriamo nello specifico delle accuse mosse agli indagati. Secondo gli investigatori della Guardia di finanza, coordinati dai pm Stefano Puppo e Walter Cotugno, i tecnici di Spea ammorbidivano i rapporti sullo stato dei ponti per evitare i lavori. Era stato scoperto, inoltre, che le barriere fonoassorbenti montate su alcuni tratti autostradali erano difettose e si erano staccate causando problemi agli automobilisti. Uno degli indagati aveva anche detto al telefono che erano "attaccate con il Vinavil".

Il 30 dicembre 2019 era crollata una parte della volta della galleria Bertè, in A26. Si erano staccate quasi due tonnellate di cemento che per fortuna non avevano colpito veicoli in transito. Anche in questo caso per la procura i controlli non venivano fatti in maniera adeguata. Le due società Aspi e Spea sono uscite dall'inchiesta dopo avere patteggiato per questo filone con circa un milione di euro.

Le accuse, a vario titolo, sono falso, frode, attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo. Tra gli indagati l'ex Ad di Aspi Giovanni Castellucci, gli ex numeri due e tre di Autostrade per l'Italia Paolo Berti e Michele Donferri Mitelli e Stefano Marigliani, ex direttore di tronco della stessa azienda, tutti anche imputati al processo sul crollo del viadotto Morandi.

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