GENOVA - Dopo ventinove anni potrebbe essere risolto grazie al dna il cold case del delitto del trapano, l'assassino di Maria Luigia Borrelli, "Antonella" come si faceva chiamare dai clienti, l'ex infermiera dalla doppia vita, ammazzata con uno sgabello e un trapano il 5 settembre del 1995 in un basso di vico Indoratori, nel centro storico.
Il codice genetico trovato sulle pellicine rinvenute sulle unghie della vittima appartiene a un carrozziere di Marassi, la stessa zona dove la vittima abitava con i due figli. Gli investigatori ieri hanno effettuato una perquisizione nella sua abitazione e nell'officina, sequestrando materiale definito interessante.
All'artigiano, che ha 63 anni, gli investigatori della polizia e della guardia di finanza sono arrivati comparando un'infinità di codici genetici. A coordinare le indagini, oggi come 29 anni fa, è il pm Patrizia Petruzziello che non ha mai smesso di cercare l'assassino di uno degli omicidi più efferati.
Il presunto assassino, che non ha precedenti penali, non è stato arrestato ed è rimasto a piede libero perché il gip ha ritenuto che dopo quasi trent'anni non esistessero il rischio di pericolo di fuga, di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove, e potrebbe avere cambiato vita.
La figlia della vittima, Francesca Andreini, che nel 1995 aveva solo 19 anni, attraverso il suo legale, l'avvocato Rachele De Stefanis, ha detto di essere "incredula ma piena di speranza per questa svolta giudiziaria che potrebbe finalmente dare giustizia a mia madre". Il legale ha aggiunto: "Noi eravamo a conoscenza che erano stati disposti nuovi accertamenti irripetibili sui reperti in sequestro e con il nostro consulente, Nicola Caprioli, ed eravamo molto fiduciosi. In questi trent’anni, scienza e tecnologia hanno fatto grandi passi avanti, in più abbiamo anche la banca dati del Dna. Non abbiamo ancora la copia degli atti, ma apprendiamo che è stato decisivo, come spesso accade”.
Gli inquirenti sarebbero arrivati al presunto assassino da un codice genetico di un familiare il cui dna era nella banca dati del Ministero degli Interni, forse un pregiudicato, da lì gli accertamenti si sono allargati ai familiari, arrivando così al profilo del carrozziere, incensurato ma ludopatico, una dipendenza che ha subito fatto drizzare le antenne finanzieri e poliziotti che così hanno preso il suo codice genetico scoprendo che era lo stesso delle pellicine rinvenute sotto le unghie di Maria Luigia Borrelli.
Il codice genetico che accusa il carrozziere è lo stesso che nel 1995 permise di scagionare un elettricista primo indagato dell'inchiesta, Ottavio Salis, un padre di famiglia di Teglia incensurato che nonostante fosse innocente alla notizia della sua iscrizione sul registro degli indagati, un atto dovuto perché era proprietario del trapano che lui aveva usato per fare dei lavoretti nel basso, si tolse la vita gettandosi dalla sopraelevata.
Ai carabinieri titolari delle indagini lasciò un biglietto: "Io sono innocente, trovate l'assassino".
Poco tempo dopo un altra persona si tolse la vita in seguito al clamore del delitto, Adriana Fravega, ex prostituta e proprietaria del basso dove Borrelli si prostituiva, si uccise il 25 marzo 1996 ingerendo dei barbiturici. Era sta lei a indicare Salis come possibile assassino e forse il suicidio fu una conseguenza dei sensi di colpa.
Dieci anni fa invece a uccidersi gettandosi dal ponte Monumentale è stato Roberto Borrelli, il figlio di Luigia. L’uomo, che all’epoca dei fatti aveva solo 22 anni, e aveva problemi psichiatrici che si errano acuiti per l'omicidio della mamma. Anche lui come la sorella, con il delitto aveva scoperto che la madre non faceva l'infermiera ma il giorno quando usciva di casa invece di andare in ospedale si recava nel basso di vico Indoratori a prostituirsi.
IL COMMENTO
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