Cronaca

Il tifo impossibile di un detenuto da una cella, la folla davanti al maxischermo della sala giochi e il gruppo di vecchi tifosi che rinunciano alla partita in tv e preferiscono stare lì, sotto la Nord, come familiari al capezzale di un proprio caro
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GENOVA - Laddove mercoledì era avvenuta una guerriglia fra polizia e ultrà della Samp a colpi di lacrimogeni e lanci di bottiglie ora ci sono pochi agenti in divisa, rilassati, quasi annoiati ai margini di un traffico che scorre incurante del fatto che dentro il Ferraris stanno per scendere in campo il Genoa e la Juventus.

Corso De Stefanis alle 17.45, a pochi minuti dell'inizio della partita a porte chiuse per gli scontri del derby è la cartolina simbolo di una gara irreale senza spettatori. I negozi finalmente aperti, la gente di Marassi a passeggio come in un giorno normale nonostante si giochi una partita di cartello.

Se qualcuno temeva o sperava di vedere la Nord a tifare fuori dallo stadio è rimasta deluso: i tifosi normali sono avviliti perché per pochi violenti loro non possono sostenere la squadra che da qualche settimana appare in evidente difficoltà. Come se con quel maledetto derby (pure perso...) tutti i nodi fossero improvvisamente venuti al pettine: la pochezza tecnica della squadra frutto delle cessioni dei due gioielli Gud e Retegui dopo la vendita degli abbonamenti, una rosa ridotta al minimo, la sfiducia anche in un mister che non sembra azzeccarne una, "forse vuole farsi mandare via perchè si è accorto che la società latita" azzarda qualcuno.

Gli ultrà rossoblu, quelli violenti che hanno rubato e poi esposto nella Nord gli striscioni degli Ultras della Samp, si guardano bene dal mettere il naso fuori dalla cuccia: la gradinata li detesta, la Digos  - che una bella figura con la storia delle pezze non ha fatto - li sta braccando, ne ha arrestato già qualcuno, ne denuncerà molti altri, che si vedranno vietare lo stadio per almeno tre anni.

Così sotto la Nord, fra i parcheggi e i marciapiedi, come pensionati in cerca di cantieri da osservare, all'ora di inizio della gara troviamo solo una dozzina di tifosi con i capelli grigi malati di Genoa che si accompagnano a un volto storico della tifoseria, Dario Bianchi, tutti alla vista del cronista che fa le riprese con il cellulare si allontanano per non farsi riprendere. "Siamo qui perchè per rimanere fisicamente vicini alla squadra e alla Nord anche a costo di non vedere la partita neppure alla tv", dicono neanche fossero al capezzale di un proprio caro.

Poco lontano con le stesse motivazioni due genoane un po' più giovani, con le magliette rossoblu a mo' di seconda pelle, se ne stanno sedute sui marciapiedi di fronte alla inferriate della Nord chiusa e ammettono lo stesso guasto d'amore, la stessa debolezza: "Stare vicini allo stadio ci fa sentire meno impotenti, siamo infuriate perchè ci sentiamo vittima di un'ingiustizia, chiudere la curva non è giusto, noi abbonati paghiamo le violenze di pochi".

Fare il giro del Ferraris durante questa irreale partita senza spettatori riempita solo delle urla dei giocatori in campo regala sensazioni assai sgradevoli, rievocando le gradinate vuote ai tempi del lockdown.

In questo silenzio impossibile non scorgere un detenuto (foto in alto) che dietro le grate di una cella affacciata su De Stefanis grida quasi disperato "Genoa, Genoa" come se volesse attirare l'attenzione di tutto il mondo, o solo dei passanti, che infatti si fermano, lo guardano, gli lanciano un cenno di saluto, e vanno via pensierosi. Lui saluta tutti unendo le dita come a formare un cuore: robe da genoani.

La vita attorno al Ferraris in lutto si ravviva nella stradina fra il carcere e il centro commerciale, nello slargo dove troneggia una sala giochi: lì davanti al maxischermo e le varie tv dove si vede Genoa Juve c'è tanta gente, "ci sono molte più persone degli altri giorni" ammettono i gestori, dentro tutti uomini, di ogni età, seduti davanti alla partita o appoggiati al bancone a sorseggiare una birra.

Molte le storie di chi è visto negare una partita che aspettava da tempo e che forse non vedrà mai più.
Due spagnoli di Oviedo tifosi del Genoa dai tempi della mitica partita di Coppa Uefa del grifone di Bagnoli, giunti a Genova da Milano, dove sono in vacanza, vengono consolati da alcuni dirigenti del Genoa che li indirizzano a vedere la partita in tv nel club rossoblu più vicino. Gli ispanici ringraziano e salutano con il tradizionale scambio di numero di telefonino e la promessa di rivedersi, magari per assaggiare le vostre acciughe, come auspica il dirigente rossoblu.

Attorno allo stadio delusi per non riuscire ad entrare incontriamo anche una giovane coppia di juventini di Avellino e poi due amici magrebini, anche loro juventini, uno tunisino abitante a Genova, l'altro libico in vacanza in Italia, quest'ultimo ha pure un biglietto di tribuna da 140 euro che potrà farsi rimborsare, ma ci rimane molto male quando scopre che la partita la vedrà solo alla tv.

Da libro cuore ma con finale amaro la storia di una coppia barese con il figlio juventino domiciliata a Genova per curare il bambino: il piccolo è molto malato e desidera di vedere dal vivo gli idoli della sua Juve.
Per accontentarlo i genitori gli hanno comprato il biglietto. La notizia che la partita è a porte chiuse li spegne, ma poi ecco spuntare una speranza: il divieto agli spettatori prevede un'unica deroga per i disabili. E siccome il figlio - purtroppo - è disabile a causa di una malattia invalidante i genitori accorrono all'ingresso riservato dei distinti della Sud. Il bambino si ravviva. Ci spera.

Ma poi la doccia fredda: possono entrare solo i disabili abbonati inseriti in una lista ufficiale. Il piccolo paziente, che è la prima volta che vede il Ferraris, non può essere in quella lista, e gli steward appaiono militari irremovibili. "Non possiamo chiedere deroghe, abbiamo una lista da rispettare" scandiscono glaciali.

La mamma del piccolo (foto in basso) si sfoga con il cronista, "ma un po' di cuore, un po' di elasticità, lo stadio è vuoto e nostro figlio ci terrebbe tanto a vedere la Juve, abbiamo anche il biglietto".

Al suo fianco il bambino, consolato dal papà, crolla in un pianto sfrenato. E a noi mancano le parole per commentare questa che poteva essere una favola a lieto fine e invece non lo è.