Cronaca

Le telecamere di Primocanale assistono all'incontro
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di Matteo Cantile - Michele Varì

"Le voglio bene come a una figlia, l'ho adottata, ho sempre bisogno di lei. Quando ho necessità di essere rassicurata, lei c'è": mamma Silvana, la donna che da anni combatte per rendere giustizia alla figlia Nada Cella, uccisa da una mano ignota 25 anni fa a Chiavari, parla così, commossa, di Antonella Pesce Delfino, la criminologa che con un lavoro instancabile è riuscita a ottenere la riapertura di questo 'cold case'. La dottoressa Pesce Delfino, per la prima volta davanti alle telecamere, è tornata a Chiavari, nell'appartamento di via Piacenza della famiglia Cella, per rendere visita alla signora Silvana. 

"Ho conosciuto la famiglia Cella molti anni fa, quando ero a Genova a frequentare un master in criminologia - spiega Antonella Pesce Delfino - mi sono avvicinata senza molte speranze e invece sono stata messa nelle migliori condizioni per lavorare. Ricordo ancora che venni qui, suonai al citofono, Silvana mi fece salire e dopo una lunga conversazione me ne andai con tutti gli incartamenti dell'indagine". Dall'analisi di quelle carte, di quelle migliaia di pagine stampate. è partita la ricostruzione di una vicenda che oggi è arrivata a una svolta.

"Silvana ed io abbiamo fatto un patto - dice la criminologa - mai illudersi. Nemmeno oggi, nonostante la riapertura del caso: i piedi devono essere sempre ben piantati per terra". Un atteggiamento che è servito, in questi anni, per continuare a lavorare nell'ombra anche quando per tutti, quella vicenda ormai impolverata dal tempo, era solo un lontano ricordo. 

Dell'indagata, dei bottoni, delle pieghe più tecniche del caso Antonella Pesce Delfino non parla, così come chiude senza lasciare spazio alla curiosità la storia delle minacce ricevute da Anna Lucia Cecere: "Non ho mai avuto paura per me o per i miei cari - è l'unica concessione - almeno non finora". Ma, anche se apertamente non lo dice, è fiduciosa che le ulteriori indagini sui reperti in mano agli inquirenti possano dare un nome all'assassino. Del resto la qualità del genetista che sta lavorando al caso, il prof. Emiliano Giardina, il professionista che individuò 'l'ignoto uno' che consentì di incastrare l'assassino di Yara Gambirasio, è riconosciuta da tutti: "Un uomo di grande valore - dice Pesce Delfino - farà certamente un ottimo lavoro". 

Ma il caso Nada Cella è anche una storia di provincia profonda, del detto e non detto, delle piccole omertà: è il caso delle voci che dopo 25 anni non hanno ancora un volto, delle dichiarazioni fatte sempre troppo tardi. "Ho saputo che Marco Soracco (il commercialista titolare dello studio di via Marsala dove fu uccisa Nada, ndr) ha detto di avere ricevuto, per interposta persona, la candidatura di Anna Lucia Cecere a ricoprire l'incarico che era stato di Nada e che questa offerta arrivò la sera stessa del delitto - dice Silvana - se è vero mi domando perché Soracco abbia aspettato così tanto per dirlo. Lo fa per coprire qualcuno? Non lo so ma le sono chiesta spesso". E poi ci sono, appunto, quelle telefonate anonime: "Mi chiedo perché dopo tanto tempo ancora chi sa non abbia parlato. Chi è quella donna che chiamò casa Soracco, perché non ha mai sentito il bisogno di uscire allo scoperto, perché non lo fa adesso"?

Domande che colpiscono Silvana e la sua famiglia fin dentro l'anima. Ora c'è una nuova indagine, un nome e dei reperti imbrattati che possono essere la chiave per risolvere il caso. La verità non potrà riportare Nada tra le braccia dei sui cari, ma darà a mamma Silvana la certezza di non avere vissuto, e lottato, invano.