Cultura e spettacolo

Non convince il film di Quentin Dupieux che ha aperto la kermesse fuori concorso
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di Dario Vassallo

Con 13 lungometraggi realizzati dal 2007 e sette solo negli ultimi cinque anni, Quentin Dupieux – regista, produttore discografico e musicista noto con lo pseudonimo di Mr. Oizo – non si può dire non sia un artista attivo, tanto più che i suoi film che spesso fondono commedia, fantascienza e horror, oltre che dirigerli li scrive, li monta e li musica personalmente. Personaggio di culto in Francia, dopo aver partecipato l’anno scorso sia al Festival di Locarno che alla Mostra di Venezia ha avuto l’onore di aprire fuori concorso questa edizione di Cannes con ‘Le deuxieme acte’ (Il secondo atto), il primo lavoro in cui affronta la propria professione in un film-nel-film dove prende in giro l'ego infallibile degli attori rivelando le scintille che volano quando questi ego si scontrano sul set.

Si parte con una lunghissima chiacchierata tra Willy e David, due amici che passeggiano in campagna discutendo di una ragazza di nome Florence con cui David non vuole più stare e che tenta di sbolognare a Willy. In realtà i due non sono vecchi amici, ma piuttosto gli attori che li interpretano in un film. E lo stesso vale per Florence e suo padre Guillaume che riescono a malapena a finire la prima scena in cui li vediamo insieme prima di perdere fiducia non solo nella sdolcinata storia d'amore che stanno realizzando, ma nei film in generale. I quattro finiranno per incontrarsi in un ristorante dove discuteranno ancora, oscillando tra i loro personaggi e se stessi. C'è anche un regista, sotto forma di avatar creato dall’intelligenza artificiale, che si mostra su un laptop commentando roboticamente il loro lavoro e riducendo il cachet ai membri del cast che non si comportano adeguatamente.

È questo il futuro del cinema? Un enorme giradischi su cui puoi remixare, graffiare e campionare concetti per creare il suono che preferisci di più? Il film non ci dà una risposta perché in realtà ‘Le deuxieme acte’ racconta semplicemente un gruppo di attori annoiati e al limite di un esaurimento nervoso che si muovono senza soluzione di continuità dentro e fuori i livelli apparenti di finzione e realtà dove il compito che si dà Dupieux è cercare di rendere piacevole la loro noia senza riuscirci del tutto, occasionalmente divertente se pure con una sceneggiatura piena di temi di attualità come la sessualità e il razzismo, l'emergere dell'intelligenza artificiale nel cinema e il movimento #MeToo. Ma Dupieux non sa come riunire tutto questo in una storia con un arco drammatico che porti a un epilogo soddisfacente.

Alla fine rimangono uno sguardo agrodolce sulle pretese e i cliché dell'industria cinematografica visti in una prospettiva affettuosamente confusa e una serie di scenette qua e là divertenti ma con dialoghi che si arrotolano spesso su se stessi brillantemente interpretate da un cast di talento (Lea Sydoux, Vincent Lindon, Louis Garrel e Raphael Quenard). Un'occasione persa con alcuni momenti piacevoli.