Cultura e spettacolo

Opera seconda della francese Coralie Fargeat è un film ribelle e onirico che termina in una delirante sinfonia di sangue
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di Dario Vassallo

Chi non ha mai sognato di essere una versione migliore di se stesso, più giovane e bello? Con il suo secondo film, ‘The substance’, la francese Coralie Fargeat non solo affronta questa domanda ma prende di mira l'età e il sessismo nell'industria dell'intrattenimento con un thriller-horror ribelle e onirico che termina in una delirante sinfonia di sangue.

E’ la storia di Elisabeth Sparkle, interpretata da Demi Moore: un'attrice pluripremiata che avvicinandosi ai cinquant’anni deve accontentarsi di insegnare l’aerobica in tv. Ma anche questo spazio le viene tolto quando il suo viscido produttore la licenzia perché troppo vecchia. Sconfortata, viene a sapere di un misterioso programma noto come The Substance che promette di darle una versione migliore e più giovane di se stessa e decide di utilizzarlo, seguendo istruzioni molto specifiche su come iniettarsi la formula, informata anche delle rigidissime regole da seguire. Svenuta dopo essersi fatta la prima iniezione, dalla schiena le spunta una massa spaventosa che si trasforma in Sue, una splendida giovane donna, vibrante e sexy (Margaret Qualley), che abita nella sua stessa coscienza temporaneamente disattivata. Secondo le indicazioni la ragazza può uscire nel mondo per una settimana dopo di che dovrà tornare ad essere Elizabeth per altri sette giorni e così via in un’alternanza continua. In questo modo rinasce una stella in tv ma le conseguenze saranno drammatiche per entrambe.

'The Substance' è una macabra parabola fantasy di misoginia e oggettivazione del corpo che localizza il suo orrore nella paura delle donne nei confronti di se stesse, sia più giovani che più anziane. In superficie è un patto faustiano e una condanna dell'ossessione per la bellezza ma Fargeat scava più a fondo, esplorando temi marginali e creando un personaggio centrale con un dilemma facilmente comprensibile. Perché è impossibile non pensare alla carriera di Demi Moore - star negli anni '80, ora uscita dal grande giro - attraverso il prisma di quella di Elisabeth cui conferisce rabbia, terrore, disperazione e vendetta. Scioccante, grottesco in maniera disarmante ma talvolta persino divertente, è un body-horror femminista girato con abilità e compassione che se pure non ha l’elegante oscurità dei film di Cronenberg è schietto ed emozionalmente estremo. 

Certo i rimandi, sia letterari che cinematografici, sono tanti (Dottor Jeckyll e mr. Hide, Il ritratto di Dorian Gray, Eva contro Eva, Viale del tramonto, e altri ancora) ma è la scossa di energia di cui il Festival aveva bisogno grazie alla sua visione così selvaggiamente eccessiva che porta con sé una qualità allucinatoria e un finale che probabilmente stabilisce un record per la quantità di sangue versato in un film qui a Cannes. È certamente troppo lungo (140 minuti, se ne potevano tagliare tranquillamente una ventina) ma accresce in modo accettabile l'ansia quando ci si inizia a chiedere quale sarà il costo umano di quello che succede. Poi, come ogni favola, ‘The substance’ si conclude con una chiara morale in cui ti fa venir voglia di credere, e cioè che c'è più bellezza nella libertà che libertà nella bellezza. Io un premietto glielo darei.