Cultura e spettacolo

Il film ispirato al regista canadese dalla morte della moglie avvenuta alcuni anni fa
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di Dario Vassallo

CANNES - Benvenuti a Gravetech, l'ultima delle sinistre invenzioni del regista canadese David Cronenberg e benvenuti a ‘The shrouds’ (I sudari), il suo ultimo film presentato in concorso qui a Cannes: una sfinge che si contorce su se stessa, una meditazione necrofila erotizzata sul dolore, sul desiderio e sulla perdita, un dramma sessuale combinato con un fantascientifico thriller di cospirazioni e persino un mistero legato ad un possibile omicidio.

Gravetech è il nome di una società creata da Karsh, un uomo d’affari di Toronto (Vincent Cassel) che ha perso la moglie Rebecca (Diane Kruger) quattro anni prima a causa di una forma aggressiva di cancro. Ha inventato una sindone con migliaia di minuscole telecamere che possono registrare e trasmettere immagini ad altissima risoluzione offrendo ai parenti l'opportunità di guardare il cadavere della persona amata disintegrarsi in tempo reale tramite un'applicazione video installata sul proprio cellulare. Tutto questo in un cimitero all’avanguardia con annesso ristorante, dove ovviamente è sepolta anche Rebecca, che viene però improvvisamente vandalizzato con conseguente compromissione delle informazioni e dei video.

Le indagini mostrano come gli scheletri siano stati ricoperti di piccole sporgenze che sembrano polipi ma che vengono poi identificati come trasmettitori. A cosa servono? Chi ha distrutto queste tombe e a quale scopo? I sospetti di Karsh non sono univoci: forse il responsabile è Maury, ingegnere informatico ex-marito della sorella gemella di Rebecca, Terri, che Karsh non disdegna di portarsi a letto; o forse è l’oncologo che aveva curato la moglie che potrebbe aver avuto con lei una relazione di cui a un certo punto spunta il cadavere con un foro in testa o forse c’è addirittura un coinvolgimento del governo cinese perché il paese ha investito nella tecnologia utilizzata, uno sforzo che potrebbe rappresentare l’avanguardia di una rete di sorveglianza da allargare a tutto l’occidente. Un guazzabuglio nel quale il protagonista ha anche una relazione con una donna cieca, sogni sensuali e allucinazioni stravaganti con Rebecca.

Ispirato a Cronenberg dalla morte della moglie avvenuta alcuni anni fa con Cassel truccato per assomigliargli il più possibile, ‘The shrouds’ affonda le radici nella fascinazione del regista per il corpo, per la nostra carne interiore, per il modo in cui pulsa nella vita e si deteriora nella morte con le sue afflizioni, dipendenze, perversioni e potenziali trasformazioni. Non a caso i suoi film hanno spesso parlato di parassiti che venivano dall’interno, di demoni che si trasformavano in un cancro o del DNA di un uomo che si fondeva con quello di una mosca. Ma se pure è un maestro del body horror qui il suo focus è sul sentimento di perdita, non sulla vista del sangue.

Tra idee audaci che però spesso vengono neutralizzate dalla mancanza di una precisione narrativa, con vari filoni che vanno e vengono, è un film sul dolore e sull'andare avanti che si rivolge all'orrore corporeo e all'immaginazione sessuale per rispondere alla domanda: come affronti la perdita della persona che ami e come continua a esistere nella tua vita dopo che se ne è andata? Uno sguardo più metafisico che macabro che trasmette dai confini della morte, dietro le linee nemiche, un dolore inconsolabile. E da questo dolore, ci dice Cronenberg, forse non saremo mai liberi così come non saremo mai liberi dall’amore, mai liberi dal desiderio, mai liberi dal nostro corpo così fragile. Ma anche mai liberi dalla speranza di trovare una soluzione o un significato, qualunque esso sia, in tutto questo pietoso pasticcio.