Cultura e spettacolo

Presentato l'anno scorso al Festival di Cannes ha vinto il Premio della regia
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di Dario Vassallo

Si è parlato molto negli ultimi anni della cucina come una forma di cura, idea probabilmente legata alla rivalutazione femminista del lavoro solitamente svolto dalle donne, il più delle volte non retribuito ma essenziale per la vita quotidiana. Nel cinema, ciò si è tradotto in un progressivo aumento di interesse tra registi e sceneggiatori per la rappresentazione del mangiare sullo schermo. Così, trent’anni dopo il suo primo lungometraggio, 'Il profumo della papaya verde', il regista franco-vietnamita Tràn Anh Hùng è tornato ad affrontare questo tema con 'Il gusto delle cose' dove il cibo è il soggetto, l'obiettivo e il motore trainante di una storia d'amore ambientata quasi interamente all'interno dei confini di un castello francese alla fine del XIX secolo.

Adattato da un romanzo di Marcel Rouff vede Dodin, un celebre buongustaio, vivere in un'idilliaca tenuta nella Valle della Loira insieme a Eugenie, sua cuoca e collaboratrice da oltre vent'anni. Lui idea i piatti, lei li esegue alla perfezione, con l'assistenza della giovane Violette. I due hanno anche coltivato una relazione romantica, anche se con alcuni limiti imposti dalla donna che non vuole diventarne la moglie, rifiutando educatamente le sue proposte di matrimonio per poter mantenere un livello di autonomia ma aprendogli la porta della propria camera da letto. Il tempo passa, la salute di Eugenie lentamente peggiora così che la loro relazione finisce per prendere una svolta dolorosa e sarà Dodin a cucinare per lei in una appassionata inversione dei ruoli.

Nel 'Gusto delle cose' la passione per il cibo, presentato con una certa disinvoltura come metafora della condivisione, della famiglia e dell'amicizia, diventa un canale per esplorare la bellezza e il mistero dell'esistenza, oltre a raccontare una storia sull'amore. La sceneggiatura è ridotta all'osso in termini di personaggi e retroscena perché il legame tra Dodin ed Eugenie è così particolare e ossessivo che il film può permettersi di concentrarsi esclusivamente su di loro con le interpretazioni di Benoit Magimel e Juliette Binoche – che hanno alle spalle una vera relazione sentimentale - in grado di conferire un ulteriore strato di intimità inespressa saggiando il legame della coppia con una gamma espressiva di mezzi sorrisi e sguardi complici. E' una visione della felicità che si basa sul fatto che se qualcuno conosce il tuo stomaco, conosce anche il tuo cuore.

È facile interpretare la meticolosa gastronomia di Dodin e Eugenie come un simbolo della dedizione degli artisti nei confronti della loro musa ispiratrice, dando il massimo di se stessi per creare qualcosa di bello e tuttavia 'Il gusto delle cose' sembra anche una considerazione sui modi silenziosi con cui dimostriamo il nostro affetto. Con la consapevolezza che per quanto splendido possa essere un pasto, dura solo un breve istante così come, allo stesso modo, una relazione sentimentale ha una data di scadenza spesso inevitabile. Ma mentre questo film gentile termina con un velo di tristezza c’è comunque qualcosa di confortante nell’idea che, come un piatto prelibato, anche il ricordo di una grande storia d’amore è destinato a restare per sempre.