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Un tesoro del patrimonio operistico nazionale, che tuttavia, alla prima assoluta al Teatro Argentina di Roma, il 20 febbraio 1816, cadde clamorosamente. Subito dopo il debutto disastroso, il compositore pesarese, allora appena ventiquattrenne, scrisse alla madre: "Le meraviglie della mia opera sono state disprezzate. Pensavo che il pubblico uscisse dal teatro felice e contento. Ma così non è stato". Già a partire dalla seconda recita, però, il Barbiere iniziò a trionfare, diventando, col tempo, il simbolo stesso del Rossini comico e, forse, dell’opera buffa italiana in generale, arrivando a conquistare persino artisti e filosofi dai gusti difficili come Beethoven, Stendhal e Hegel.
Viene riproposto un Barbiere “all’italiana” ormai divenuto un classico, ma anche per rendere omaggio a un grande artista genovese, Lele Luzzati, scomparso nel 2007. "Noi presentiamo – dice Crivelli – un Rossini non grottesco, divertente ma non forsennatamente divertente, dove la commedia non è farsa, dove i recitativi sono trattati e interpretati come prosa, dove gli oggetti e i mobili creati da Luzzati possono provocare situazioni paradossali ma mai inutili". Un Rossini fantasioso e colorato, a metà tra la fiaba e il libro illustrato per ragazzi, davanti al quale vengono in mente le parole con cui Giorgio Strehler ha definito lo stile di Luzzati: "Di fronte alle sue scenografie si ha quasi sempre l’impressione di finire mani, piedi e pensieri dentro un sogno".
IL COMMENTO
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