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Già arrivarci interi è una avventura: quando cala il buio non c’è illuminazione, o meglio, c’è solo una timidissima plafoniera per nulla a prova di inciampo. Quando poi in fondo si vede, anzi si indovina, la scritta Toilette, sembra di essere alla fine della maratona: quel classico stato d’animo di chi la tiene fino alla fine ma quando mancano pochi centimetri alla meta, ecco che molla l’adrenalina pre-pipì e se non ci fosse il bagno la faresti anche nei pantaloni... ed ecco che tiè, il bagno é chiuso. Un pietoso vaso finisce per fare le veci del water irraggiungibile, ma solo per gli uomini... capirete, privacy assente, impossibile per le donne avere lo stesso privilegio. Anche perché davanti, oltre ad un cancello, c’è che nutrita platea di turisti pronti a risalire in treno.
Morale non ce n’è: di chi sia colpa è secondario (forse), resta il fatto che questa storia dimostra il classico atteggiamento ligure dell’accoglienza turistica, della serie: “Chi se ne frega, tanto i turisti vengono lo stesso, bagno pubblici o no. Vogliono andare in bagno? Vadano al bar a prendere un caffè”. Ma quanto durerà questo vivere di rendita?
E poi, non crediate che siano secondarie le toilette pubbliche, e mi permetto di citare Edoardo Monzani, al vertice di Stazioni Marittime di Genova da diversi anni, che insegna che le agenzie turistiche americane scelgono le mete dei loro viaggi anche in base alla presenza di bagno pubblici. Perché sono sinonimo di civiltà. Non averli è incivile. Ed essere patrimonio Unesco, in questo caso, è un’aggravante.
IL COMMENTO
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