Politica

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“Ho uno che fa la programmazione che la sbaglia regolarmente... è un coglione, capita. L’ho messo al maxi schermo perché è dove fa meno danni”. La frase di Maurizio Rossi è intercettata dall’ambientale nell’ufficio del presidente della Regione Giovanni Toti il 17 marzo 2022. Per l’accusa è una prova del sistema studiato dal Governatore insieme a Esselunga per dare più passaggi di clip a favore della lista elettorale Liguria al Centro Toti per Bucci sul maxi schermo.
Nessuno può sapere se quel programmatore esista davvero o se sia stata solo una boutade di Rossi che magari non pensava proprio a qualcuno in particolare. Di certo se esistesse sarebbe un uomo considerato che tutto il suo discorso è rivolto al maschile.
E invece la sorpresa. Sul Secolo XIX esce un primo pezzo a firma di Fregatti e Fagandini che lo trasformano, imbeccati dalle carte, al femminile e diventa “scema”. Poi il giorno dopo esce un nuovo pezzo con questo titolo molto elegante: “Il tecnico scemo inguaia il manager”. 
Compare sempre una donna che qualcuno ha pensato di farla passare per il programmatore stupido. Ma come, non era un uomo? Come ha fatto a trasformarsi?

E poi un “capolavoro” giornalistico: le iniziali e l’età. Signori, il piatto è servito. Perché si deve arrivare a questo? Era così importante inserire queste informazioni? Su quali basi è stato giudicato avessero una valenza e quindi importanti per il lettore ai fini dell'inchiesta?

Chi lavora a Primocanale sa bene chi si occupa di cosa e sa anche bene non esserci persone stupide e neppure sceme. Ma per chi ha letto quel pezzo non è così e qualcuno avrà già identificato la dipendente finita sul giornale con l’etichetta di scema. Come la mettiamo caro direttore Aloia e cari colleghi Fagandini e Fregatti?

Nel corso di questi ultimi mesi abbiamo visto di tutto su molti media. Persino i nomi di politici e professionisti neppure indagati accostati a dei festini hard. E dalle carte dell’ultima inchiesta abbiamo anche letto intercettazioni di persone non indagate alcune delle quali persino rese identificabili.

La libertà di informazione è un caposaldo della democrazia e su questo non abbiamo alcun dubbio. “Ma troppe volte la trascrizione di una inter­cettazione finisce col trasformarsi in una ferita inguaribile. Troppo spesso emozioni, sfoghi, confidenze, quasi sempre fuori contesto, finiscono sui giornali" diceva nel 2014 il Garante per la protezione dei dati personali Antonello Soro che aggiungeva: "È una intrusione dolorosa nella vita di cittadini spesso estranei alle indagini e ora servono regole".
Sono passati dieci anni. Si sono fatti discorsi di ogni tipo, si è parlato di regole e di ciò che è giusto o sbagliato. Ma ancora oggi sui giornali finisce di tutto e pazienza se non hai commesso alcun reato. Chi se ne frega.

Fate un giochino facile facile: registrate per qualche tempo le vostre telefonate, e poi fatele trascrivere da qualcuno. Faticherete e non poco a riconoscervi nelle parole che avete usato, anche sapendo di essere registrati.
Certe battute, certe intonazioni, certe frasi possono assumere significati diversi, ma soprattutto non si saprà mai se rappresentano il vero o magari sono dette come bluff magari per avere un vantaggio.
È vero che spesso il lettore è avido di gossip, di leggere frasi rubate nomi e cognomi. Ma è assolutamente vero che in nome della libertà di stampa non si possono sputtanare le persone. E queste scelte alla fine vengono fatte da editori, direttori e giornalisti e dalla loro deontologia e coscienza più che dalle leggi.