Sanità

Non solo supporti di macchine: rientreranno anche alcune pratiche di caregivers o familiari
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GENOVA - La risposta tanto attesa è arrivata: nei trattamenti di sostegno vitale - uno degli elementi fondamentali perché i pazienti possano accedere al suicidio medicalmente assistito - rientreranno anche alcune pratiche svolte da caregiver o familiari e non sarà quindi più necessario che le proprie funzioni vitali dipendano da macchinari per poter vedere accolta la richiesta. È questa la pronuncia della Corte Costituzionale riguardo al caso che ha visto protagonista l'attivista politico Marco Cappato, che ha accompagnato in Svizzera un uomo toscano di 44 anni la cui sopravvivenza non dipendeva da macchinari ma dall'assistenza di altre persone. Le richieste verranno comunque esaminate di volta in volta da una commissione medica e un comitato etico.

Il suicidio medicalmente assistito in Italia è regolato dalla sentenza 242 del 2019 emanata dalla Corte Costituzionale nel caso Antoniani-Cappato (quando il tesoriere dell'associazione Luca Coscioni Marco Cappato accompagnò in Svizzera Fabiano Antoniani, dj Fabo, perché potesse accedere al suicidio medicalmente assistito, ndr). La sentenza, che si basa sul riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, dice che si ha diritto di essere aiutati a morire se si è lucidi e consapevoli, affetti da una patologia irreversibile che provochi una sofferenza insopportabile fisica o psicologica e se si è tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale.

Il mancato chiarimento su quest'ultimo criterio, per cui la Corte ha più volte richiesto un intervento del Governo, ha portato gli enti competenti a prendere decisioni diverse anche in casi simili: per questo associazioni come la Luca Coscioni e i malati stessi hanno chiesto una pronuncia che potesse chiarire i criteri ed evitare discriminazioni. Tra i trattamenti che da oggi fanno parte dei sistemi di supporto vitale rientrano "anche procedure - quali, ad esempio, l'evacuazione manuale, l'inserimento di cateteri o l'aspirazione del muco dalle vie bronchiali - normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o 'caregivers' che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo" e la Corte ha anche aggiunto che "non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti".

Anche in questo caso la Corte ha comunicato "il forte auspicio che il legislatore e il servizio sanitario nazionale assicurino concreta e puntuale attuazione ai principi fissati dalla propria precedente sentenza".

Nella casistica 'allargata' non rientrano i malati oncologici, per questo Marco Cappato ha dichiarato che "le iniziative di assistenza e disobbedienza civile proseguiranno".

"Quando abbiamo iniziato le disobbedienze civili, lo abbiamo fatto nella convinzione che fosse nostro dovere morale non girare la testa dall’altra parte di fronte alla richiesta che ci veniva da persone sottoposte a una vera e propria tortura - spiega Cappato, indagato per aver aiutato, insieme a Chiara Lalli e Felicetta Maltese, Massimiliano Scalas a raggiungere la Svizzera -. Oggi la Corte costituzionale, nell’inerzia irresponsabile del Parlamento, conferma il requisito – per noi discriminatorio – del trattamento di sostegno vitale per accedere all’aiuto a morire, dandone però una interpretazione estensiva, contro il parere del Governo. Prendiamo anche atto che la Corte non riconosce l’equivalenza della verifica delle condizioni in Svizzera invece che in Italia. Siamo dunque pronti ad affrontare i 6 procedimenti giudiziari, per ciascuno dei quali rischiamo dai 5 ai 12 anni di carcere in base a una norma del 1930. E non ci fermeremo”.

"La Corte costituzionale chiarisce la nozione di trattamenti di sostegno vitale che deve essere interpretata dal servizio sanitario nazionale e dai giudici comuni in conformità alla sentenza ‘Cappato/Dj Fabo’ n. 242 del 2019. I Giudici scrivono che tale sentenza si basa sul riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività - spiega Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale di studio e difesa di Chiara Lalli, Felicetta Maltese e Marco Cappato -. La nozione include quindi anche procedure – quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri (esplicitamente citato dall’avvocatura dello Stato, e quindi dal Governo, come trattamento da non includere) o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali – normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o ‘caregivers’ che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo. Sulla base di tale interpretazione dovranno essere considerate dipendenti da trattamenti di sostegno vitale anche Martina Oppelli e Laura Santi".

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