Come si arriva a 200 milioni di debiti, senza aver mai ottenuto sul campo neppure una modesta qualificazione europea, rischiando in compenso seriamente la retrocessione in quattro campionati su nove (15/'16, 19/'20, 21/'22 e oggi)?
Di sicuro, la Sampdoria alla romana ha fatto più volte il passo più lungo della gamba, con mosse sia aziendali che di calciomercato sproporzionate sia alle sue dimensioni e prospettive, sia alle potenzialità di un proprietario che, come ben si sapeva dall'inizio, non avrebbe potuto ripianare eventuali passivi, ma al massimo fare altri debiti per pagare i debiti. Un gioco alla roulette russa cominciato nel 2014 e che sta arrivando al prevedibile finale, ritardato per due circostanze essenziali: le plusvalenze eccellenti della fase iniziale (da Schick a Skriniar, da Torreira ad Andersen) e le misure governative di sostegno dovute al Covid, tra dilazioni degli adempimenti e soprattutto possibilità di ottenere prestiti SACE, cioè garantiti dallo Stato.
Una società come la Sampdoria, senza ambizioni concrete di classifica e dalle potenzialità di provinciale, non poteva per esempio permettersi acquisti come Dennis Praet, 11 milioni ma pagati per un giocatore in scadenza e quindi prossimo al parametro zero, oppure Jakub Jankto costato 15 milioni secchi corrisposti all'Udinese. Discorso a parte per i 15 milioni di Caprari e i 20 di Audero, valutazioni decise nel quadro di altri affari, così come i 22 milioni di Zapata (acquisto più costoso dal 1946) che avevano indotto la proprietà a cercare un ricompratore perfino in Cina, per rivenderlo prima di pagarlo, fino all'arrivo dell'Atalanta.
Né era alla sua altezza, sia pur tenendo conto dell'eccellente risultato nel biennio, un allenatore da 2 milioni netti, 4 sul bilancio, come Claudio Ranieri. Un tecnico che tra un campionato e l'altro diede il benestare all'operazione degli ingaggi di Keita, Silva e soprattutto Candreva, tutti dello stesso procuratore e con l'ultimo ingaggiato per un'operazione che da sola, tra cartellino e contratto triennale, sarebbe pesata oltre 14 milioni sulle casse sociali. Nel tempo si registrano poi altre operazioni rivelatesi poco oculate: Murillo (2 per il prestito, 12 per il riscatto obbligatorio), 5 milioni per Dodò, 6 per Sala, 7 per Murru, 9 per Ramirez, 6,5 per Ronaldo Vieira, 8 per Colley, 4,5 per Alex Ferrari, 7 complessivi per Depaoli e Léris, 3,7 per Chabot, fino - in piena pandemia - ai 6 per Torregrossa e 5,5 per Lagumina. Poi i fuochi d'artificio sono finiti, anche prima dell'arresto del 6 dicembre 2021 con il conseguente cambio di presidente e CdA, nel segno di una gestione commissariale.
Se lo stile di vita sibaritico dell'ex presidente, tra la residenza in un cinque stelle e la frequentazione di ristoranti stellati, può essere riferibile al lauto quanto controverso stipendio che fin dall'insediamento si era autoassegnato, discorso a parte merita l'immobiliare. L'operazione "Casa Samp", per un settore giovanile che i ragazzi in prima squadra li ha portati solo per necessità e nessuno capace di imporsi; l'acquisto di un palazzo a Bogliasco, come se la sede in centro non fosse adeguata, entrambe queste operazioni a debito col Coni; infine lo sfavillante negozio multipiano a due passi da De Ferrari. Tutte belle cose, ma alla portata di chi possa permettersele. Paolo Mantovani non spostò mai la sede dal 33 di via Venti, i giovani li mandava in una storica pensione di Bogliasco. E di soldi da spendere ne aveva; e ne ha speso.
Infine il varo della squadra femminile e perfino di quella di calcetto: iniziative lodevoli, certo non tra le prime voci del gigantesco passivo, ma comunque altri costi. Tutti insostenibili, se alle spalle hai un proprietario che al dunque manda deserte le assemblee per gli aumenti di capitale.
IL COMMENTO
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