Cinque stagioni alla guida della Sampdoria: un terzo posto e una Coppa Italia, quella del 1993-1994 vinta contro l'Ancona in un Ferraris in tripudio e con gli occhi lucidi. Sven Goran Eriksson sedeva sulla panchina blucerchiata e ha legato indissolubilmente il suo nome a quella che rappresenta l'ultimo trofeo conquistato. Pochi mesi prima infatti il popolo doriano piangeva la scomparsa del papà della Sampd'oro: quel Paolo Mantovani che dopo la finale di Wembley affidò la guida tecnica della sua creatura nelle mani dello svedese gentiluomo.
Un calcio spettacolo che ha regalato alla Genova blucerchiata il sogno di un nuovo tricolore. In campo campioni di livello assoluto come Ruud Gullit a cui il tecnico svedese ridiede il sorriso. E poi i nuovi arrivi che incantarono la Sud come Seedorf, Karembeu e Mihajlović. Legò soprattutto con Roberto Mancini. L'anno dopo il trionfo in Coppa Italia la cavalcata in Coppa delle Coppe: eliminate in serie il Bodo, Grasshopper e il Porto. Poi la semifinale con l'Arsenal, il gol all'89 di Schwarz e quei maledetti rigori che infransero il sogno. Poi altre due stagioni culminate con la conquista della qualificazione in Coppa Uefa.
"Non abbiamo vinto tanto ma sono stati cinque anni molto felici, spesso avevamo una squadra molto forte che giocava un bel calcio, abbiamo vinto una Coppa Italia, lo stadio era sempre pieno, sono stato molto bene qui" ha raccontato Eriksson nello scorso maggio.
Uomo gentile, pacato e sempre disponibile con tutti, mai una parola fuori-posto, un vero svedese. A Bogliasco sempre pronto a scambiare due parole con tifosi e giornalisti. Il suo legame con il popolo blucerchiato è rimasto forte anche a distanza di anni, nel mentre le sue tappe nella Capitale dove conquistò, insieme a Mancini, un incredibile tricolore, in Inghilterra con l'onore di essere stato il primo ct straniero della nazionale di sua maestà e poi in Cina e Arabia. Tutto senza mai dimenticare quei colori e le emozioni vissute e trasmesse. "Guardo sempre il calendario, i risultati e qualche partita, la Sampdoria è sempre nel cuore" raccontò a Primocanale nel 2013.
Poi il tempo che passa e un tumore al pancreas. Lui ha la forza di comunicare al mondo il brutto male e lanciare un messaggio che arriva a tutti. Lo scorso maggio quel giro di campo in un Ferraris di nuovo gremito per salutarlo e omaggiarlo, al collo la sciarpa blucerchiata, accanto gli amici della sua Samp. "È troppo bello rivederli dopo tutti questo tempo, li ricorderò per il resto della vita. Oggi c'è una nuova generazione di tifosi, ho sentito che cantavano il mio nome dopo trent'anni, non si può chiedere di più". Ciao Sven.
IL COMMENTO
Situazione drammatica, presidente Meloni serve incontro urgente
La Liguria vuole tornare a correre, al via i cento giorni di Bucci