Dall’audizione di Mauro Moretti alla Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati del 21 ottobre 2014 è possibile articolare valutazioni sul futuro di Finmeccanica secondo un piano politico, uno industriale, e uno formativo-educativo. Moretti annuncia di avere messo mano a due capitoli circa il piano industriale e il modello di governance di Finemccanica. Nel suo discorso tratta in realtà della seconda, rinviando la questione del piano industriale. Ciò è logicamente scorretto, poiché occorre prima definire un piano, e solo dopo provvedere a mettere mano al tema della corrispondente governance. Non si può poi che riscontrare la pochezza degli interlocutori parlamentari nel porre domande a Moretti: il cittadino spettatore di quella audizione non può che rimanere attonito.
Le holding, nella storia, seguono cicli con momenti di accentramento strategico-decisionale rispetto ad altri di maggiore flessibilità e libertà operativa per le aziende della holding stessa. Oggi, l’approccio di una regia stretta e coesa è necessario per evidenti ragioni e dati economici stringenti. Tuttavia alcuni aspetti vanno messi in luce. Per esempio, il confronto con FIAT e Sergio Marchionne regge fino a un certo punto. Se è vero che Moretti come Marchionne è chiamato a fare l’interesse della holding della quale è gestore, egli è pure chiamato a fare gli interessi dell’azionista della holding che gestisce.
Su questo specifico aspetto va rilevata una differenza fondamentale: nel caso Marchionne l’azionista è un soggetto privato (la famiglia Agnelli), nel caso Moretti è un soggetto pubblico (lo Stato Italiano). Altra differenza non da poco, consiste nel fatto che nel caso Moretti, l’azionista è pure cliente della holding della quale egli è gestore. Costituisce poi limite oggettivo all’azione di Moretti il fatto che Finmeccanica sia società quotata in borsa. Può sembrare facile risolvere la situazione concentrando l’azione su poche società e dismetterne altre invocando il superiore interesse della holding, ma resta pur vero che i soci di quelle società che verranno dismesse genereranno effetti negativi interni ed esterni al gruppo.
Se sul piano politico Moretti non può essere ritenuto responsabile, altre sue considerazioni vanno corrette sul piano industriale. Affermazioni tipo quella di dismettere tutta la manifattura di Finmeccanica per concentrare tutto quanto su pochi settori core sono criticabili nel merito. Tutte le holding elaborano le proprie strategie secondo una metrica a due dimensioni: la prima è quella che identifica i settori core, e la seconda è quella delle cosiddette tecnologie-chiave abilitanti per poter sviluppare prodotti e servizi di successo proprio nei settori individuati come core. Trenta e lode a Moretti ove decida di dismettere l’attività industriale relativa alle tecnologie per produrre sellerie degli aeromobili, bocciato se decida di dismettere l’attività industriale relativa alle saldature a tecnologia avanzata quale quella a fasci ionici.
Non è possibile privarsi di tutte le tecnologie-chiave abilitanti: esse potrebbero essere non più accessibili. Un esempio eclatante è proprio l’ICT, che gioca un doppio ruolo, sia come settore core, sia come tecnologia-chiave abilitante. Forse Finmeccanica può privarsi di ICT come settore core, ma non certo come tecnologia-chiave abilitante. Occorre quella che un tempo si chiamava programmazione di medio termine e una dimensione almeno continentale, aspetto questo molto delicato per Finmeccanica, che oscilla fra un asse Italia-USA e un asse Italia-UE.
Sul piano industriale, sono da condividere le affermazioni di Moretti a proposito dei fornitori. Certamente corretta la strategia di spending review sui manager: basti ricordare le risorse pubbliche assegnate per progetti di Ricerca e Sviluppo gettate al vento senza un disegno organico, usate solo per coprire margini di profitto inferiori alle attese della holding da parte dei Soloni di Piazza Montegrappa. Tuttavia, va ricordato a Moretti ciò che Svetonio scrisse del buon governo di Ottaviano Augusto: festina lente. Questo vale tanto più oggi, quando la società italiana ha accettato il principio del pax et princeps. Moretti fa benissimo a fare pulizia ove possibile, ma deve costruire una squadra capace nel breve termine. Egli può fare riferimento al piano formativo-educativo.
Deve scegliere persone competenti e capaci. Il sistema italiano di formazione terziaria produce persone competenti, ma assai raramente capaci. Joint ventures di Finmeccanica con dottorati di ricerca industriali, costituzione di una Corporate University, costituiscono elementi utili a sostanziare in bene la strategia di Moretti. Ignazio Visco, nel suo libro “Investire in conoscenza” (il Mulino, 2014), identifica il pacchetto delle cinque competenze del XXI secolo: 1) l’esercizio del pensiero critico; 2) l’attitudine alla risoluzione di problemi; 3) la creatività e la disponibilità positiva nei confronti dell’innovazione; 4) la capacità di comunicare in modo efficace; 5) l’apertura alla collaborazione e al lavoro di gruppo.
La situazione attuale di Finmeccanica va governata secondo il principio di sussidiarietà. La sussidiarietà, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi, è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalistico. Essa può dar conto sia della molteplice articolazione dei piani e quindi della pluralità dei soggetti, sia di un loro coordinamento. Il governo della holding Finmeccanica deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. Il gruppo ha certo bisogno di autorità, in quanto si pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace.
economia
A Finmeccanica serve sussidiarietà, non autoritarismo
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