Dalle macerie del dopoguerra, agli anni del boom economico. I primi scricchiolii degli anni '70, il terrorismo e le stragi di mafia, fino alla deflagrazione di Tangentopoli. Poi la crisi economica, la disaffezione dalla politica che sconfina nel populismo antieuropeo. E ancora, devastante, la corruzione, i rapporti malati della criminalità con la politica, la recessione. C'è l'intera storia repubblicana nei messaggi alla nazione di fine anno. Una tradizione che nasce nel 1949 con il primo 'vero' presidente, Luigi Einaudi, e che passa attraverso ben 10 capi di Stato disegnando paure e speranze, mali e successi del Belpaese.
Mai però in 65 anni l'evento che apre la serata di san Silvestro era stato cosi' nel mirino della politica come oggi. Il nono discorso di Giorgio Napolitano sarà certamente un bilancio di un lunghissimo mandato, ma condizionato dalle sue imminenti dimissioni. Con il mondo della politica in piena fibrillazione e già alle prese con la ricerca di un successore che possa reggere il confronto con la figura dell'attuale presidente.
L'appuntamento in diretta televisiva - ed oggi anche via web - che precede il cenone e' sempre stato un'occasione per fare il punto della situazione del Paese. Ma anche un'opportunità per spiare lo studio del presidente, la sua scrivania con alle spalle il tricolore. Da sempre si e' scommesso sui temi affrontati e sulla durata del messaggio. Sfida, quest'ultima, vinta senza storie dal presidente piu' esternatore della storia del Colle. Con soli tre minuti e mezzo di collegamento Francesco Cossiga si conquisto' nel 1991 un record insuperabile. Era l'ultimo anno del suo settennato, e Cossiga si era guadagnato la fama di "picconatore" criticando aspramente i partiti politici e la prima Repubblica, a suo dire compromessi dalla corruzione. In un clima di critiche bollenti al suo operato scelse di spiegare agli italiani, in poco piu' di 3 minuti, perche' era meglio tacere piuttosto che non poter dire la sua verita'.
Certo, da Einaudi a oggi il linguaggio è cambiato. Ripercorrendo i primi discorsi si coglie una certa retorica nazionalista, un ricorso a termini come ''patria'' e ''popolo'', del tutto adeguati alle ferite del dopoguerra. Einaudi non mancava, gia' allora, di alimentare l'orgoglio di un'Italia ricca di diversita', fondata sull'energia dei mille ''borghi'' e comuni.
Con Giovanni Gronchi l'Italia sembra gia' essere preparata alla corsa verso il benessere e si introducono i primi germogli di europeismo. Si punta decisamente su parole come 'progresso'', ''futuro'' e ''fiducia''. Concetti ripresi con più chiarezza da Antonio Segni (1962-1964) nei due discorsi che fece dal Quirinale prima della sua famosa malattia che lo spinse alle dimissioni.
Negli anni del socialdemocratico Giuseppe Saragat (1964-1971) fecero irruzione temi nuovi portati dal '68. Mentre infuriava la guerra del Vietnam il Paese prese consapevolezza dell'importanza dei diritti civili e si aprì una sorta di rivoluzione culturale che sradicò l'Italia dal conservatorismo del primo dopoguerra. Ma il boom era agonizzante e Saragat iniziò a sottolineare l'importanza del ''lavoro'' e non poté trascurare gli scossoni dello stragismo italiano, a partire da piazza Fontana (1969).
Nel 1971 fu la il turno di Giovanni Leone che fu eletto dopo ben 23 scrutini e con i voti determinati dell'allora Msi. ''Terrorismo'' fu la parola che segnò i suoi messaggi di fine anno di una presidenza segnata dallo scandalo Lockheed. La ''crisi'' entrava ufficialmente nel dizionario presidenziale. Ancora tanto ''terrorismo'' per il presidente piu' amato dagli italiani, Sandro Pertini (1978-1985), che però fu costretto ad occuparsi anche di mafia: nel discorso di fine anno del 1982 parlò espressamente del problema mafioso ricordando le figure di Pio La Torre e del generale Dalla Chiesa.
Si corre velocemente agli anni '90 con un'altra turbolenta presidenza, quella di Francesco Cossiga (1985-1992) che fu segnata dalla caduta del muro di Berlino. ''Liberta''' fu infatti una delle parole più usate dal picconatore. Con Oscar Luigi Scalfaro tornano alla ribalta termini come ''responsabilita''' e ''politica'': il suo settennato si confrontò infatti con Tangentopoli e la fine di un'intera classe politica. Il settennato di Carlo Azeglio Ciampi riscopre il mondo, il nuovo secolo e si ritorna a stimolare la ''fiducia'' verso un Paese che tutto sommato ancora cresceva.
E quindi Giorgio Napolitano: domina la parola ''crisi'' che accompagnerà il primo presidente ex comunista per tutto il settennato. E anche oltre, come confermerà anche il suo ottavo messaggio agli italiani. Con Giorgio Napolitano irrompono prepotenti le parole "riforme", "crisi" e "lavoro". Dopo i primi anni di relativa tranquillità, spesi ad arginare l'esuberanza di Silvio Berlusconi, Napolitano si rende conto di quanto la crisi istituzionale italiana sia profonda. E si spende per garantire al massimo la stabilità politica consapevole che solo una normale legislatura poteva dare almeno avvio al percorso riformatore.
politica
Nei messaggi di fine anno dal Quirinale, c'è tutta la storia d'Italia
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