Di fronte alle polemiche di queste ore, con l’accusa di “tafazzismo” rivolta alla minoranza del suo partito e la replica infuriata dei “sinistri”, in realtà c’è un quesito che nessuno sembra porsi: Matteo Renzi vuole davvero evitare la scissione del Pd, o invece questo è esattamente il suo obiettivo, che persegue con la perfida abilità di affibbiarne la responsabilità politica ai dissidenti? Che in testa abbia l’idea di costituire un nuovo soggetto politico chiamato Partito della Nazione lo ha dichiarato lui stesso. E da qui bisogna partire per provare a comprendere le mosse altrimenti inspiegabili di queste ore.
Dopo averlo ignorato per mesi, facendo anche spallucce sulla vicenda delle primarie pasticciate e sulla conseguente fuoriuscita di un big come Sergio Cofferati, improvvisamente il segretario nazionale del Pd scopre il caso Liguria. La gran parte degli osservatori si affanna a spiegare la circostanza con il terrore di perdere le elezioni liguri che si sarebbe impadronito di Renzi. Ora, a parte che il premier per carattere sembra ben poco incline a farsi spaventare, se questa fosse la ragione prima e ultima della sua sortita, il modo per sterilizzare il problema lo avrebbe.
Gli basterebbe chiamare a un tavolo riservato Pierluigi Bersani, e con lui magari Stefano Fassina e l’antico sodale Pippo Civati, e fare un discorso chiaro, per esempio sulla riforma elettorale: “Presentatemi una proposta che io possa digerire e la accolgo. In cambio, però, andate in Liguria e fate voi campagna per la nostra candidata Raffaella Paita”. Prenderebbe, il segretario del Pd, due piccioni con una fava: ricucirebbe lo strappo interno e a Genova metterebbe all’angolo il “transfuga” Luca Pastorino, recuperando probabilmente buona parte della prevista emorragia elettorale a sinistra, se in campo ci fosse Bersani, l’uomo della “ditta”.
Poiché non bisogna essere degli Einstein della politica per concepire una simile mossa, e considerando che il “nostro” ha sufficiente dna democristiano, se Renzi va dritto nella direzione opposta, e a ogni contestazione interna replica con durezza doppia, la sola conclusione possibile è che non voglia fare niente, ma proprio niente, che ricompatti la situazione. La stessa idea di spedire in Liguria uno dei suoi vice, Lorenzo Guerini, per trattare un accordo con Area Popolare (Ncd e Udc), dimostra che la rogna elettorale Renzi medita di risolverla per linee esterne, non ricucendo il partito. Con buona pace del segretario regionale Giovanni Lunardon, che del no a quella formazione aveva fatto un elemento imprescindibile (ma aveva anche detto di non voler essere candidato nel listino del presidente, mentre ora sembra ripensarci…).
L’immagine ancora in secondo piano, ma che lentamente va assumendo contorni nitidi, allora, è quella di un Pd a più forte vocazione centrista, capace di calamitare tutto il fronte moderato che presto sarà in libera uscita dal centrodestra, per la prevedibile implosione di Forza Italia. Ma sarà anche un Pd la cui insegna muterà in Partito della Nazione e che per vedere ben caratterizzata la propria collocazione nello schieramento politico avrà bisogno anche di avere un soggetto ben riconoscibile, persino sufficientemente forte, alla propria sinistra.
Da tutta questa storia, emerge anche un aspetto paradossale. Si pensava che il civatiano Pastorino, lo stesso Cofferati, Sel e molte forze della sinistra-sinistra (in attesa di vedere se e come si farà viva anche la Coalizione Sociale del leader Fiom Maurizio Landini) avessero l’esclusiva nel trasformare la Liguria in un laboratorio politico per provare a varare un nuovo soggetto politico con vista su Roma. Sullo stesso scacchiere, invece, ora mostra di voler irrompere lo stesso Renzi. E questo spiega perché Raffaella Paita vada avanti come un carrarmato nel reclutare moderati, non importa se provenienti dal centrodestra. Anzi, meglio. Sa di avere le spalle coperte. E sa che nella sfida con Giovanni Toti non c’è in ballo solo la carica di governatore, ma qualcosa che va oltre: far assaggiare intanto ai liguri un piatto che si chiamerà Partito della Nazione. Anche per Renzi ora la Liguria è un laboratorio politico.
politica
Renzi e il caso-Liguria, un laboratorio politico
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