Commissario sì o commissario no per l'Autorita' portuale di Genova? Prima di rispondere al quesito suggerisco di gettare uno sguardo su due istantanee. Primo fotogramma: il presidente Luigi Merlo annuncia le dimissioni, se sua moglie Raffaella Paita vincerà le elezioni regionali, e la comunità portuale si straccia le vesti, proponendo che Merlo, "ottimo presidente che ha fatto un ottimo lavoro", abbia un ruolo nel governo, diventando Sottosegretario alle Infrastruture con delega alla portualità.
Secondo fotogramma: quando il senatore Maurizio Rossi pone il problema delle concessioni portuali prolungate in barba alla riforma che presto dovrebbe essere varata, Merlo non fa spallucce, ma solleva la questione, con relativa richiesta di chiarimenti, al Ministero. E improvvisamente la stessa comunità portuale genovese che lo avrebbe voluto "santo subito" trasforma Merlo medesimo nel diavolo da esorcizzare.
Se vogliamo, possiamo anche fissare un terzo fotogramma: l'intervista al Secolo XIX con cui un imprenditore di vaglia quale Augusto Cosulich (la sua azienda ha recentemente fatto nuove assunzioni e questo è un merito al di là di tutto, anche se poi come partner di Aldo Spinelli ha i suoi bravi interessi in campo) perora la causa del parlamentare forzista Sandro Biasotti come successore di Merlo. Perché fra le qualità di Biasotti c'è anche quella di essere "uno di noi".
Torniamo al quesito sul commissario: sì o no? Sì. Forte e scandito. Prim'ancora di altro, il porto di Genova ha una esigenza fondamentale: diventare un'azienda affrancata dalle tante lobby che si agitano al suo interno e che negli anni hanno condizionato scelte e decisioni. Il più delle volte avendo come faro gli interessi di pochi, senza considerare che cosa alla città possa e debba servire affinché lo scalo sia un'impresa che produce benessere collettivo.
Qui non si tratta, ovviamente, di buttar via il patrimonio di singole aziende che lavorano e danno lavoro sulle banchine, si tratta si entrare in un'era nuova, nella quale quelle stesse aziende siano parte di un disegno comune che, anche all'insegna della trasparenza, si pongano come volano di un'economia più vasta. È tempo, cioè, che in porto, attracchi quella responsabilità sociale delle imprese che non si esaurisce solo con quello che poi diventa un inaccettabile "ricatto occupazionale" quando le cose non vanno come vuole il "padrone delle ferriere" di turno.
Prendiamo il caso delle riparazioni navali. Di recente Marco Bisagno ha ribadito che il suo gruppo è pronto a fare i bagagli se il Blue Print dovesse sfrattarlo. In ballo c'è il disegno della città futura, con il collegamento del Porto Antico alla Fiera: siamo certi che un percorso ludico-turistico di tale portata possa contemplare la presenza di un pezzo di industria pesante? A buon senso vien da rispondere di no, invece si afferma il contrario perché si teme, appunto, di perdere le riparazioni navali. La cosa, però, non viene presentata in questa chiave, ma come un complotto ordito dallo Yacht Club che rifiuta di trasferirsi per lasciare spazio ad altre attività.
Naturalmente se si trattasse di scegliere fra un insediamento produttivo e il lusso di pochi ricchi che vogliono sorseggiare l'aperitivo in riva al mare non ci sarebbe partita. Ma le cose stanno un po' diversamente, anche se non si dice. Ignorando, ad esempio e al netto di tante mistificazioni, che le riparazioni navali potrebbero trovare idonea collocazione a Sestri Ponente. Certo, per l'azienda interessata si tratterebbe di sopportare un costo e un disagio, ma in gioco entra anche il suo ruolo socialmente più ampio. O bisogna arrendersi all'idea che le imprese devono macinare ricavi e profitti senza considerare il contesto nel quale si trovano?
Tutto questo ha uno stretto imparentamento con le valutazioni sul commissariamento dell'Autorità di Genova: un presidente locale, tanto più espressione di "questa" comunità portuale, avrebbe mai l'indipendenza e il coraggio anche solo per sollevarle, certe questioni? I contrari al commissario, compresa la Regione Liguria per bocca dell'assessore Edoardo Rixi, affermano che in questa opzione è insito il pericolo molto concreto dell'immobilismo che finirebbe per imprigionare lo scalo, con tanti saluti a ogni piano di sviluppo.
A parte che non esiste controprova del contrario su una presidenza decisa con la formula della "terna" consentita dalla legge non ancora superata dalla riforma, si tratta semmai di incalzare il governo affinché spedisca a Genova un commissario che non si limiti a mettere firme e timbri di ordinaria amministrazione, ma abbia poteri ampi e veri e la consapevolezza di dover gestire il principale scalo italiano, in attesa di ampliarsi con la fusione con Savona. I precedenti positivi, del resto, non mancano. A denti stretti e senza uscire allo scoperto, più di un operatore genovese ammette: a Trieste Zeno D'Agostino sta lavorando bene. E sapete che mestiere fa D'Agostino? Il commissario del porto...
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