
Tutto inutile. L'assemblea nazionale del Pd ha bellamente ignorato l'argomento e dunque resta la regola attuale: convenzione regionale fra gli iscritti per scegliere i candidati a segretario (hanno accesso alla consultazione i primi tre, o comunque chi abbia ottenuto almeno il 15% dei suffragi interni o un terzo nell'ambito delle province) e poi, appunto, le primarie. Dalle quali scaturiranno i delegati che incoroneranno il nuovo leader. Il loro numero può variare, l'ultima volta in Liguria sono stati 300, e viene fissato da un regolamento prima del voto.
Alle latitudini liguri questo meccanismo ha prodotto il feroce scontro fra Giovanni Lunardon e Alessio Cavarra, che poi era la durissima divisione fra Raffaella Paita e il resto del partito in vista delle elezioni regionali (poi perdute a favore del centrodestra di Giovanni Toti), e quindi il commissariamento, tuttora retto da David Ermini, l'inviato di Matteo Renzi. Che oltre ad essere il premier è il leader nazionale dei Democratici.
Un'esperienza pessima, non l'unica, che sembrava aver spinto i vertici del partito a rivedere almeno questa parte dello Statuto, per consentire la cosa più normale del mondo: la guida di un club, qualsiasi sia la sua attività, la scelgono gli aderenti a quel club. Il Pd, invece, sceglie di (non) funzionare diversamente e diabolicamente persevera in tale scelta.
Solo insipienza o un improvviso cuoio dissolvi? Macché. Piuttosto la fredda decisione del big boss che ha maturato una precisa convinzione, dettata dall'esperienza: le primarie aperte gli hanno consentito di scalare il partito e poi il governo e la stessa formula gli può consentire, nei territori, di spingere al vertice personaggi meno scomodi, non figli di quell'ala sinistra che continua a vedere come il fumo negli occhi.
Di per se' la scelta del segretario regionale non è tema che scaldi il cuore degli iscritti, quindi alle urne è più facile che ci vadano le truppe cammellate, che certi ambienti legati alla voglia di potere possono reclutare senza troppi problemi. Anche pescando tra le fila degli elettori di centrodestra.
È avvenuto l'ultima volta e accadrà ancora. Perché esiste una coincidenza di interessi evidente: ci sono personaggi che puntano ad accordi di potere per il loro tornaconto (in termini di poltrone e/o di altre prebende) e c'è un segretario nazionale-premier al quale questi personaggi e le loro truppe servono per avere una presa più solida. Sul Pd e sul governo stesso, come dimostra il rapporto con Denis Verdini e i suoi accoliti. Nulla che non si spieghi.
IL COMMENTO
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