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Elezioni a Roma e i contraccolpi delle scelte di Berlusconi
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Il vero centrodestra è quello di Milano, unito intorno a Stefano Parisi, sebbene come sabato separato in piazza? Oppure è quello di Roma, che guerreggia per il Campidoglio diviso fra Giorgia Meloni (Lega e Fratelli d'Italia) e Alfio Marchini (Forza Italia)? Come in ogni tornata elettorale, il tatticismo la fa da padrone e niente è scolpito sulla pietra.

Con la decisione di mollare Guido Bertolaso, Silvio Berlusconi riconquista il centro del ring: vince se porta Marchini al ballottaggio e vince se il suo candidato non passa ma fa egualmente perdere la Meloni. Però gli elettori romani potrebbero infliggergli il ko: la sconfitta sarebbe inappellabile, infatti, se la leader di Fratelli d'Italia, andasse al ballottaggio con il solo appoggio di Matteo Salvini. In quest'ultimo caso Berlusconi sarebbe costretto a un definitivo passo indietro, perché il suo ruolo di capo della coalizione, già messo in discussione, risulterebbe devitalizzato.

All'esito della consultazione guarda con apprensione anche il governatore ligure Giovanni Toti. La prima uscita del segretario regionale leghista Edoardo Rixi e del leader locale di FdI Matteo Rosso sembrano incupire il cielo sopra il centrodestra di Liguria: "Toti resti super partes, noi appoggiamo la Meloni" tuonano in una nota congiunta.

Ma come, il governatore deve zittirsi e loro, invece, possono suonare la grancassa? Rixi e Rosso non sono impazziti, semplicemente sanno che Toti può contare su una platea nazionale, e quindi romana, essendo spesso ospite delle tv nazionali, mentre loro al massimo possono affidarsi alla rete e ai social network. Non è la stessa cosa.

In realtà, appare improbabile che lo sconquasso romano, comunque vada il voto, possa davvero far saltare il banco in Liguria. Nessuno ha interesse a farlo: le poltrone sono comode e anche precedenti liti tra Forza Italia e Lega non hanno pregiudicato il cammino delle amministrazioni locali rette insieme dai due partiti.

Diverso il discorso che riguarda Toti personalmente. Il suo modello fa leva sull'unità del centrodestra e il governatore - che non a caso avrebbe voluto una convergenza sulla Meloni - rispetto alla scelta romana si trova in una falsa posizione nei confronti di Berlusconi.

Le sue aspirazioni nazionali possono risultare compromesse. E dire che le ha coltivate con cura: frequenti presenze nella capitale; relazioni solide con entrambe le anime leghiste, incarnate dal governatore lombardo Roberto Maroni e da Salvini (sabato Toti, osservanza "nordista", è stato il solo forzista ad andare anche nella piazza del leader del Carroccio); un canale diplomatico sempre aperto con la Meloni (vedi la nomina del fedelissimo Carlo Fidanza come commissario dell'agenzia "In Liguria"). E, ovviamente, attenzione a "tenersi buono" Silvio.

Tutto, però, potrebbe risultare vano. Anche l'intimazione ricevuta da Rixi e Rosso può essere interpretata come uno stop alle sirene nazionali, leggasi salto alla Camera. Per il Parlamento si voterà nel 2018, mentre la legislatura regionale scadrà due anni dopo. Ma se Toti sbarcasse a Montecitorio la Liguria dovrebbe anticipare le elezioni.

L'ipotesi non piace agli alleati liguri, perché rivincere sarebbe un grande problema. E contrari sono pure gli avversari extra-regione del governatore (interni ed esterni a Forza Italia) che hanno un buon argomento per tenerlo prigioniero in Piazza De Ferrari e toglierselo dai piedi come competitore.

Oggi, dunque, Toti sembra poter ottenere al massimo un seggio come "nominato" nel nuovo Senato, se passerà il referendum costituzionale d'autunno. Poco è meglio di niente, ma non abbastanza per coltivare ambizioni da leader. La storia, però, è ancora tutta da scrivere.