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Come cambia l'oligarchia in città: da Marta al Marchese, da Burlando a Toti / 1
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Una volta c’era il porto con il mare e i bastimenti che andavano e venivano e i transatlantici che, carichi di charme e eleganza, collegavano la città con New York. Una volta c’erano le grandi famiglie, cognomi che spesso hanno costruito tasselli importanti della storia industriale italiana: Rocco Piaggio dei Cantieri, di Miralanza e dell’Italiana Zuccheri, i Gaslini dell’olio e dell’Ospedale Pediatrico,  i Costa dell’armamento e dell’olio, i Dufour delle caramelle che facevano dudududu…, i Ravano e i Cameli con le petroliere, i Garrone con le raffinerie della Valpolcevera. C’erano anche i professionisti del diritto che davano lustro con i loro studi alla facoltà di Giurisprudenza: De André, Ferrarini, Berlingieri, Failla, Monteverde, Uckmar. C’erano i camici d’oro: Battezzati, Vernetti, Marmont, Mastragostino. E anche i politici, che a Roma sedevano sulle poltrone più strategiche del Parlamento: Taviani, Lucifredi, Macchiavelli, Orsini, Peschiera. C’era il cardinale Siri, per due volte entrato in Conclave da papa, uscito sconfitto da giochi di potere vaticani e da alcuni intrighi esterni.


C’erano anche i luoghi delle grandi decisioni perché allora si decideva. Navi e cemento, petrolio e banche, negozi e fabbriche. Il circolo del Tunnel di via Garibaldi era una soffice succursale degli uffici o degli scagni portuali, così come lo Yacht Club Duca degli Abruzzi o il Golf di Rapallo e della Pineta di Arenzano. O le case, le enormi case di Castelletto o Albaro, talmente riservate e anonime che erano sconosciute al resto della città e ai foresti. Mormoravano i milanesi  a Santa Margherita: “I genovesi? E’ così difficile conoscerli. Stanno sempre chiusi in casa. Magari li incontri a Montecarlo o a Crans sur Sierre o in mezzo al mare su barche stupende …”


Poi c’è stata un’altra generazione. Meno vivace, più politicamente compromessa, soprattutto con una sinistra, Pci e ex Pci sempre vittoriosa, ma anche un’area berlusconiana nuova o riciclata dai vecchi Pli, Dc e Psi, nel decennio in cui il Cavaliere governava la politica e l’informazione non soltanto televisiva.
“Ma almeno c’erano i salotti dove ci si poteva confrontare” è sbottato alcune settimane fa un imprenditore portuale. A Genova mancano i luoghi di incontro e quindi dove ci si trova per discutere e magari decidere?


Per esempio alle adunate preelettorali della politica , o a quelle post-vittoria. Due anni fa, regnante Claudio Burlando, in massa andarono ad applaudire il governatore che sferzava gli imprenditori a Palazzo Ducale. Erano le masse che avevano aderito entusiasticamente all’associazione Maestrale , dal nome del vento, il mistral che spira imperterrito e freddo dalla Provenza, da Nord Ovest, il vento maestro nella navigazione, così sicuro da scavalcare il Massiccio Centrale prima di arrivare sulle coste della Liguria e andare oltre. Nelle stanze di Maestrale in via San Lorenzo si presero decisioni importanti per governare un territorio per dieci anni, dal 2005 al 2015, un partito il Pd e condizionare senza troppi problemi una città. Poi venne la campagna elettorale e i frequentatori fedeli di Maestrale affollarono la convention dal nome non proprio scaramantico di Galattica che lanciava la delfina del governatore, Lella Paita, verso un esito da Titanic.


E qui ecco la sorpresa. Sorpresa? Beh, insomma… Vince le regionali il giornalista di Berlusconi, prestato alla politica, Giovanni Toti, a sorpresa e scombina tutto e tutti. E il Maestrale che superava il Massiccio Centrale si spegne, senza fiato, tra il Monte Gazzo e il passo del Bracco. Flop.

DA GALATTICA A CHANGE
Toti crea la sua associazione, la chiama Change (chiama tutto in inglese come Renzi) e invita i notabili. Chi ci va? Ma cari amici, lo stesso popolo che frequentava Maestrale, gli affollatori della Galattica e ora, tramontanati dagli errori strategici del Pd, al desco di Change.
Dunque, se dovessimo abbozzare una scheda di chi sta provando a occupare gli spazi di potere rimasti a Genova dopo la caduta delle 3 B (Burlando, Bertone, Berneschi) e la (momentanea?) scomparsa del potente pluriministro Claudio Scajola che mai volle prendere casa a Genova, preferendo governare da Imperia, in tacito accordo con l’avversario politico Burlando, dovremmo partire proprio da questa novità politica: la presa del palazzo di piazza De Ferrari da parte di Giovanni Toti. Presa e conquistata con notevole abilità, (praticamente a porta vuota) sorridente dopo i ghigni della sinistra, superbo nel gestire le telecamere da collaudato giornalista. Ora Toti avrà l’incarico tutt’altro che facile, di provare a fare quello che non è stato fatto prima: treni veloci con Milano e Roma (per ora è ripartito il trenino Genova-Casella), riassetto di un territorio devastato dalle alluvioni e dalle cementificazioni a bordo fiume, petrolio che sversa nei rivi tombati, ridisegno della politica turistica, rilancio di un po’ di industria, ma soprattutto, la conquista di Palazzo Tursi, nel 2017 quando Marco Doria lascerà. Forse. Certo in quanto a comunicabilità Giovanni stravince sul Marchese: la Iplom sversa nel Polcevera? Toti arriva subito di notte sul fiume e guadagna lo schermo, e fa parlare la Liguria come mai altri sono riusciti a fare, mentre il povero Marco quando arriva è troppo tardi: non c’è più nessuno, soprattutto giornalisti e telecamere. S’è un po’ azzoppato, il governatore,  annunciando un treno veloce Genova-Milano che si è fermato per strada a far passare un “regionale”, diventando da veloce a “velocetto”. Riproverà, mentre l’ opposizione spuntata “gufa” contro.


I vecchi conservatori e moderati che votavano per i Viziano-Gamalero-Biondi (a ripensarci, titani della politica….) o per i vecchi diccì, sperano in lui, che sa parlare bene, non ha l’aria sofferta e malandata degli ex pci, e va in tv dal martedì alla domenica. Uno che conta, come si dice, anche a Roma, dove storicamente i politici genovesi sono destinati a fare anticamera. Raccontano che quando governava Bettino Craxi e gli annunciavano che c’era alla porta di via del Corso una delegazione di socialisti liguri, lui si chiudesse a doppio mandato in ufficio facendo rispondere che era a Hammamet.


Il candidato-sindaco del centrodestra lo sceglierà Toti e a Genova dovranno soltanto dire di sì e ringraziarlo, se  per caso riuscirà nell’operazione. Lui ci scherza, ma mica tanto: “Riveleremo il nome del nostro candidato alla Festa dell’Unità”.

SPINELLI ONNIPRESENTE
Intanto alla sua festa ha fatto il pieno. E il primo a sedersi a tavola è stato u sciù Aldo (Spinelli), (ha spiegato che non ha pagato la quota minima da mille euro) amicone di Burly, sodale al tavolo dello scopone scientifico del ristorante Europa di Galleria Mazzini, quando c’era anche Duccio Garrone, la cui mancanza oggi grava in modo pesantissimo sulla vita genovese. In molti confidano in un’ ascesa pubblica del giovane Mondini, un nipote del petroliere. Toti ha fatto anche un’uscita pubblica con alcuni imprenditori: Volpi e Calabrò, è apparso alla festa della Pro Recco con Briatore. Qualcuno ha storto il naso, ma si sa, a Genova a storcere il naso sono buoni tutti.


Al di fuori di Giovanni Toti in quest’ area politica c’è il vuoto pneumatico o quasi. La sua giunta, passati i primi nove mesi con parecchi annunci, ora deve fare per davvero, risolvere, decidere. E qui stanno i guai. Ci sono zeppe da tutte le parti, a cominciare dalle piccole faccende, come i duecento (200) autobus che Burlando promise alla disastrata Amt di Genova, per sostituire quelli che ogni giorno, sfiancati, collassano sulle salite della città. Per arrivare alle grandi opere ferme, dal terzo valico alla Gronda dimenticata, alla situazione preoccupante di una rete della sanità che registra solo un dato: la continua fuga dei liguri oltre Appennino per farsi curare a Milano.


Toti vorrebbe giocarsi la carta del nuovo presidente del porto, piazzandoci Sandro Biasotti e i pd romani sarebbero pure accondiscendenti perché nella spartizione del porti ne hanno già cuccati una decina e almeno due o tre vanno al centrodestra. Dunque….


E poi magari Biasotti va bene a qualche terminalista (come ebbe a dire Augusto Cosulich: “Almeno è uno di noi…”), è amicone di Spinelli. Meglio lui di un tecnico, “maniman venuto da fuori”.
La parola “fuori” è il terrore degli indigeni. “Mia, maninam  vegne un da feua…”. Sciagura. Eppure, per altri, un tecnico, esperto, potrebbe togliere il porto da una strana blindatura e soprattutto liberarlo da compromessi e legami, da privilegi e lobbies che ne limitano le potenzialità. Il sornione Luigi Merlo regala in modo non ufficiale una indicazione di percorso: “Toti nomina, dopo l’ammiraglio Pettorino, un commissario “condiviso” e questo poi, naturalmente, diventerà presidente…” Superba uscita dalle secche portuali di lucida scuola democristiana. Non eseguito.

(1 parte- continua)
Nelle foto da sinistra Giovanni Toti, Aldo Spinelli e Marco Doria