Qualche affascinante ricostruzione, come quella di Giulio Anselmi, il grande direttore di giornali e forse uno dei genovesi più di successo nel mondo editoriale, insieme a Marco Benedetto, a sua volta super-manager prima alla “Stampa” degli Agnelli e poi del “Gruppo Espresso”, aiuta a trovare una data nel processo che porterà a spiegare il progressivo patatrac.
La data è quella del 1977 e ricorda un giorno di ottobre, nel quale l'armatore Francesco Ravano, conosciuto come Francis nei cento salotti riservati di Albaro e Castelletto (oggi non ce ne è più neppure uno....), comparve in Tribunale ammanettato tra due carabinieri, accusato di illeciti valutari, dopo che Andreotti aveva appena promesso le manette agli evasori. Fu come un fulmine che cadeva sulla città e sul suo fino ad allora quasi intoccabile establishment, con il tocco in più di irrisione delle manette ben ostentate ai flash dei fotoreporter: la forza del denaro non bastava più, insieme alla rispettabilità delle leggi, nell'esercizio dei trend economici e insieme alla fede cristiana praticata e pubblicamente ostentata (vedi i Costa, i Dufour, i Romanengo), se non c'era la necessaria pressione politica.
Vincevano la battaglia i “boiardi di Stato”, gli speculatori di regime, che trionfavano nella capitale romana. Forse che qualche mese prima un'altra armatrice, Franca Tomellini Fassio, non era finita in carcere per bancarotta, trascinata giù dal vertice di un impero armatoriale assicurativo editoriale, distrutto in un baleno solo perché la potente famiglia del grande Ernesto Fassio, altro big, era finita nel tritacarne di un accordo con l'Egam, l'Ente Minerario di Stato?
Un accordo, firmato per liquidare un socio di famiglia in uscita, il famoso terzo fratello, Giorgio Fassio, celebre perché scolpiva statue d'oro.
Liquidare il fratello in uscita: classica operazione di famiglia, costata sangue e fallimenti e una bella congiura assicurativo-armatoriale.
In pochi mesi il passivo del crack Fassio era stato colmato con la vendita delle navi e delle società assicurative “Levante” e “Europa”. Allora perché li avevano fatti fallire in pochi mesi?
E forse che qualche anno prima Andrea Mario Piaggio , il “re” di Miralanza, quella dell'indimenticabile Calimero di Carosello, non era stato sfiorato dall'accusa di golpismo di destra, all'alba degli anni di piombo?
Non era cominciato tutto allora, con la distanza dal potere romano, quello della futura “Razza padrona”, ma molto prima, quando, tra le due guerre, l'impero dei fratelli Mario e Pio Perrone, la storica Ansaldo, che rappresentava più di quel che la Fiat sarebbe stata per l'Italia, era stato travolto dallo scandalo del Banco di Sconto.
Con quello scandalo nel 1926 i Perrone, trascinati in Tribunale e poi davanti al Senato riunito in Alta Corte di giustizia per il dissesto delle loro aziende, che aveva gettato nel gorgo l'istituto di credito, dovettero assistere allo smembramento dell'impero in tanti tronconi.
L'Iri se li sarebbe ingoiati uno a uno, questi tronconi, e a nulla era valsa la fama della grande famiglia genovese-romana, che poteva vantare di avere fatto vincere all'Italia la Guerra mondiale con i propri cannoni, i propri aerei, le proprie navi.
I corpi menomati di queste grandi aziende private e famigliari Ansaldo sono sopravvissuti per decenni e decenni, sotto l'ombrello Iri, fino alla inutile scommessa nucleare degli anni Sessanta, fino al trasferimento dell'Italcantieri a Trieste, fino al progressivo disfacimento dell'acciaio di Stato con l' Ilva poi Italsider, poi di nuovo Ilva, infine privatizzata, fino alla vendita o polverizzazione del resto. L' Italimpianti, per esempio, un giacimento a lungo rimasto a far fruttare piccole rendite di posizione, piccole società di ingegneria, favolosi know how, le nuove aziende vendute al miglior offerente, americano o cinese...ma questa è l'altra storia...
Accidenti se sono ingiallite quelle foto, mentre le conseguenze di quel patatrac andavano avanti e l'industria di Stato si mangiava la vocazione imprenditoriale, in un arretramento anche fisico degli stabilimenti costruiti verticalmente, secondo la tradizione dell' epoca e non longitudinalmente, come sarebbe servito all'impresa della nuova era industriale post boom, bisognosa di spazi e in Liguria destinata a respirare solo Oltre Appennino, nella scommessa di Rivalta Scrivia, intuita dai Costa, ma poi sfarinata nel tempo, confermata ex post dagli insediamenti degli anni Settanta-Ottanta.
Così Elah-Dufour (fallite) vengono acquistate dal Tribunale dal Cavaliere del Lavoro Flavio Repetto negli anni Ottanta. Dopo quattro anni di attesa dal Comune di Genova per un terreno in Val Polcevera dove poter costruire una nuova fabbrica, si sono trasferite a Novi Ligure con l’acquisizione della Novi. Oggi sono il vero fulcro produttivo accanto alla Campari, all'Ilva, la Boero, dopo aver inghiottito Attiva della famiglia Oliva e poi Brignola, si trasferiva da Molassana a Tortona, la Sutter, aveva già scelto gli spazi Oltre Appennino, abbandonando le strettezze di Sturla, la Bocciardo aveva tentato la fortuna in Alta val Bisagno, spostandosi da via Canevari, prima di sparire. E le raffinerie Garrone sarebbero state cancellate dalla Valpolcevera e avrebbero spento la fiamma eterna a San Quirico, dopo infinite trattative con il Comune, diventato dal 1975 a governo “rosso” con le giunte Pci-Psi e la Dc del “re” di Bavari, Paolo Emilio Taviani all'opposizione.
In questo modo un colossale trasloco ha spostato le sedi famigliari in altri mondi.
(4a parte-continua)
Nella foto da sinistra Flavio Repetto, Paolo Emilio Taviani e il cardinal Giuseppe Siri
politica
I “boiardi" di Stato e l’intoccabile establishment
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