cronaca

Gli ex azionisti: "Indagini epidemiologiche prive di validità scientifica"
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Gli ex azionisti dell'Ilva non ci stanno a passare come gli inquinatori di Taranto. Lo ribadiscono in tutti gli atti, dai ricorsi al Tar contro quello che ritengono un "esproprio ingiusto", alle memorie inviate a Bruxelles. L'ultimo documento, datato 20 maggio, è la memoria inviata alla Direzione Concorrenza della Commissione Ue, nel quadro della procedura avviata da Bruxelles per presunti aiuti di stato all'Ilva procedura alla quale Riva Fire partecipa come soggetto interessato.

Nel documento si sottolinea che l'esproprio dell'Ilva subito da Riva Fire è avvenuto in base a due perizie senza "attendibilità scientifica" e "probatoria" assunte dal Gip di Taranto, "senza contraddittorio con palese violazione dei più basilari cardini della Costituzione italiana e della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo". Gli ex azionisti di maggioranza dell'Ilva sottolineano anche che i dati sull'inquinamento a Taranto usati dalle perizie sono "aggregati", cioè non sarebbero imputabili solo all'Ilva ma anche ad altri stabilimenti che insistono sull'area: "il petrolchimico di Eni", "l'arsenale militare", "i grandi stabilimenti di produzione di cemento" di Cementir.

Nella memoria Riva Fire (oggi in liquidazione) tenta di smentire "una rappresentazione gravemente distorta e spesso contraddittoria" della "vicenda Ilva". Non è vero ad esempio che, ai tempi della privatizzazione dell'Ilva lo Stato regalò il Siderurgico al gruppo ai Riva. Il prezzo pagato nel 1995 fu di 1.650 miliardi di lire (850 milioni di euro) inoltre Riva Fire si accollò i debiti per circa 1.500 miliardi di lire (775 milioni di euro) per un "investimento complessivo di oltre 1,6 miliardi di euro". All'epoca con una cifra così ci si poteva comprare il 15% di Fiat.

Nel 1995, si legge nella memoria, "l'Ilva era una società altamente inefficiente, registrava perdite per 500 milioni di euro l'anno". Con la privatizzazione cominciò un ciclo virtuoso. Quanto alle misure ambientali; "Nel solo stabilimento di Taranto sono stati investiti 1,1 miliardi". Parlando ancora delle due perizie, la memoria contesta "errori tecnico scientifici" e "inconsistenza probatoria".

Le risultanze epidemiologiche sarebbero prive "di ogni validità scientifica" perché "contravvenendo ai canoni della comunità scientifica (...) utilizza anche intervalli di confidenza dell'80%" e non del 95%. In altre parole i periti hanno accettato di sbagliare 1 volta su 5 anziché 1 volta su 20. Inoltre la perizia "formula stime di malattie e di decessi applicando un valore delle emissioni diverso da quello previsto dalla legge in vigore in Italia e pari a 40 micro-g/m3" usando invece il "valore obiettivo auspicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2006 pari a 20 micro-g/m3". Un valore che "l'Italia - come la grande maggioranza dei Paesi europei - non ha ancora recepito"