Mentre nel centro storico di Genova scoppia un nuovo allarme sicurezza, il procuratore Francesco Cozzi parla per la prima volta in televisione e fa il punto sulla criminalità nel genovesato. Non solo la 'micro', quella che affligge da tempo alcune zone della città, ma anche i grandi casi di corruzione e di infiltrazioni mafiose nelle amministrazioni pubbliche. Nell'intervista a Primocanale condotta da Mario Paternostro e Franco Manzitti si parla di reati, ma anche pene: e Genova, in tema di rieducazione, si scopre città all'avanguardia.
In questi giorni ci sono stati diversi episodi di violenza in centro storico. Si ha la situazione che qualcosa sia cambiato in peggio. Lei che idea si è fatto?
C'è una percezione di insicurezza e illegalità che è solo in parte il portato di dati specifici. Ad esempio alcuni dati presentati ieri mostrano una riduzione del 10% dei reati nel primo semestre del 2016, dati che dimostrano un'intensa attività delle forze dell'ordine: 17-18 interventi giornalieri, 215 arresti in sei mesi e 1085 segnalazioni di reato. C'è da dire anche che ad una maggiore attività da parte delle forze dell'ordine si accompagna l'intento di una maggiore presenza con funzioni di deterrenza. In tutto questo è molto importante la sinergia tra i vari soggetti istituzionali, in particolare il Comune, con la regia della Prefettura. E poi c'è il miglioramento della qualità delle indagini su sfruttamento della prostituzione, spaccio e traffico di merce contraffatta.
Ci sono zone dove l'allarme è più concentrato?
La procura ha questa competenza da Arenzano a Moneglia. Lo spaccio al minuto di sostanze stupefacenti è più presente in certe zone del centro storico. In altre zone ci sono punti più sensibili al traffico. Il problema è che la Procura deve avere attenzione al problema che la cittadinanza non può vedersi circolare, due giorni dopo l'arresto, la stessa persona che ripete la stessa attività illecita. Le legge sugli stupefacenti non prevede l'arresto in carcere, perché lo spaccio è punito fino a quattro anni e le misure cautelari possono essere applicate solo quando la pena massima prevista è di almeno cinque anni.
Non ci stupiamo più della mafia in Liguria. Questa contiguità tra sistema mafioso e società è sempre più forte?
Bisognerebbe partire dalle inchieste sulla mafia siciliana negli anni '90, che hanno riconosciuto la presenza sul territorio. Poi l'attenzione si è concentrata in particolare sulla 'ndrangheta nella nostra regione e nel territorio di nostra competenza. Il fenomeno ha caratteristiche un po' diverse. Allora si parlava di traffici criminali in sé e per sé, ora abbiamo gruppi che si radicano sul territorio e che cercano di controllarlo anche attraverso le pubbliche amministrazioni. Un altro settore è il sequestro di sostanze stupefacenti nel porto. È una novità negli ultimi anni. Sono state sequestrate centinaia di chili sia a Genova sia a Savona-Vado, col coinvolgimento di persone che si ritenevano impermeabili a questi traffici, cioè persone del mondo portuale. Abbiamo avuto importanti operazioni con la Francia meridionale condotte dai colleghi della dda. Ma per fare questo ci vuole molta flessibilità, attenzione e rigore.
Saltiamo a un altro scenario, quello della corruzione. Ce n'è di più? I sistemi investigativi tanto discussi, come le intercettazioni, sono così essenziali per arrivare su questi reati?
Le infiltrazioni nelle pubbliche amministrazioni si imperniano su questo tipo di reati, che sono altra cosa, se vogliamo, rispetto al dilagare dei fenomeni di corruttela che sono estesi in tutti i settori e che hanno una spiegazione nello scarso senso dello Stato e della responsabilità da parte di molti cittadini comuni e persone che ricoprono incarichi elevati. Utilissimo, anzi indispensabile, è lo strumento delle intercettazioni. Nessuno pensi di constrastare questi reati senza le intercettazioni ambientali, telefoniche e audio-visive. Siccome sono fenomeni in cui gli esempi di collaborazione dall'interno sono rarissimi, soltanto uno strumento invasivo è un mezzo per accertare le responsabilità.
C'è ancora un punto interessante sulle intercettazioni: quello della diffusione sugli organi d'informazione. Come si deve agire?
Sul punto la legge è già abbastanza chiara, anche se non viene sempre osservata. La legge disciplina in modo molto rigoroso la diffusione delle intercettazioni. In particolare vieta l'utilizzo di intercettazioni illegali (ad esempio effettuate senza l'autorizzazione del giudice), non rilevanti (quelle in cui il soggetto intercettato, sia l'indagato o un terzo, effettua conversazioni che non hanno attinenza o rilevanza col tema delle indagini). Vengono usate perché divelgono l'interesse e l'opinione pubblica, che il giornale segue per ragioni commerciali, da quello delle indagini. Nel caso in cui si arrivi a definire quelle non rilevanti o non pertinenti, queste non devono far parte del contenuto degli atti su cui si deve basare il processo. Dal punto di vista dei pm è fondamentale non fare confusione. In casi di grave illegalità diffusa è impensabile – ancor di più in materia di terrorismo – rinunciare alle intercettazioni.
Parliamo invece dell'omicidio stradale: una grande novità che introduce un altro modo di interpretare i fatti che avvengono sulle nostre strade. Lei è favorevole rispetto a questo nuovo reato? E che effetto ha già prodotto?
Anzitutto il pm non può essere favorevole o contrario, la deve applicare in modo conforme alla Costituzione. È un gravissimo problema. L'Italia è forse uno dei pochissimi Paesi che non è riuscito a portare il numero di incidenti stradali al 50% dal 2005 al 2010. Altri Paesi hanno deciso di aumentare le pene per i reati cosiddetti di 'pirateria stradale', altri prima di noi erano comunque rimasti nell'ambito dell'omicidio colposo o volontario. In Inghilterra la guida sotto effetto di alcolici è punita con 14 anni, in Francia 10. Il tema critico è accertare che la persona ha superato il tasso alcolemico. Allora, se una persona rifiuta l'esame dell'etilometro, si può fare in maniera coattiva il prelievo del sangue. Ma bisogna capire con quali modalità, nel rispetto della dignità e della salute della persone.
È vero che lo stalking è aumentato in maniera esponenziale?
È aumentato sicuramente. Noi abbiamo un gruppo di lavoro sui reati contro le fasce deboli, che si occupa di reati come le violenze sessuali, i maltrattamenti e lo stalking. I procedimenti per stalking sono oltre 250 all'anno, in leggero aumento, ma direi che si sono stabilizzati. Se ne parla di più anche perché certi comportamenti possono essere osservati in comportamenti relazionali anche tra vicini di casa.
È diventato un po' di moda?
Sì, ma è anche vero che sono diventati reati particolarmente insidiosi perché possono essere l'anticamera di comportamenti più gravi. Abbiamo messo a punto un'intesa con vari soggetti pubblici e sanitari per rendere più efficaci l'ascolto alla vittima e l'intervento.
Che cosa succede invece con la pena nel tempo moderno?
Ormai è sempre più chiaro, e Genova è stata una città pilota, che la pena non è solo il carcere. La pena è la misura che serve a infliggere una punizione, ma anche a educare. È fondamentale, sia per ragioni di costi, affollamento e idoneità, adottare a volte soluzioni diverse. Genova ha inaugurato la grande stagione dei lavori di pubblica utilità. Si è aperto un doppio binario: il carcere, come extrema ratio, dev'essere riservata alle persone pericolose. Le altre soluzioni si traducono in un atteggiamento positivo e propositivo da parte del condannato. È un'importantissima scommessa per il futuro. Dovranno esserci molti più condannati fuori dal carcere, in affidamento in prova al servizio sociale, in semidetenzione o in semilibertà. C'è sempre stata una fortissima attenzione a questo tema.
cronaca
Cozzi: "Genova all’avanguardia nella pena senza il carcere"
Intervista al Procuratore: centro storico, corruzione, omicidio stradale
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