cronaca

"N'Diaye era armato, mi ha aggredito e colpito più volte"
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"Ero andato all'incontro per tutelare mio figlio. Avevo capito che non c'era da fidarsi e che poteva andare a finire male. Ma sono arrivato senza la pistola". Lo ha detto Vincenzo Morso, 60 anni, durante l'interrogatorio di garanzia davanti al gip Ferdinando Baldini, dove ha risposto all'accusa di detenzione e porto abusivo di arma clandestina nell'ambito dell'inchiesta sull'omicidio di Davide Di Maria, ucciso il 17 settembre a Molassana da Guido Morso, figlio di Vincenzo.

Morso si è costituito sabato dopo due settimane di latitanza.
L'uomo, difeso dall'avvocato Mario Iavicoli, resta in carcere. "Quando sono arrivato nell'appartamento - ha spiegato oggi - sono stato aggredito da Marco N'Diaye. Era armato e mi ha colpito più volte. Io mi sono solo difeso e non ho visto cosa succedeva".

Secondo quanto ricostruito dagli agenti della squadra mobile di Genova, la vittima e i suoi amici (N'Dyae e Cristian Beron) avrebbero avuto un debito di droga con Guido Morso. I tre avrebbero organizzato un incontro trappola che però sarebbe degenerato in una violenta rissa e nell'omicidio. Il giovane Morso si era costituito il giorno dopo l'assassinio mentre il padre era riuscito a nascondersi per due settimane.

Il retroscena che potrebbe aiutare a districare le complesse indagini sull'uccisione con una coltellata al torace di Di Maria è stato accertato dalla squadra mobile di Genova che ieri ha arrestato i due complici della vittima: Marco Mor N'Diaye (già in galera per il possesso di una delle due pistole presenti sul luogo del delitto) e Christian Beron Tovar detto Escobar, il colombiano che invece era ancora in libertà.