A Genova nel lontano 2017 si doveva votare il borgomastro. Il partito che per quarant’anni aveva governato la città, lacerato dalle polemiche, stentava a identificarsi in un nome gradito a tutti o, almeno, alla maggioranza. Dopo mesi e mesi di tentativi, ormai prossimi alla disperazione, i maggiorenti si riunirono in una taverna di Galleria Mazzini, dribblando le impalcature, e presero una decisione definitiva: si sarebbero rivolti per un consiglio al più esperto cercatore di funghi della contea per avere un aiuto. Chi meglio di un cercatore di funghi, paziente, lento, ostinato e meticoloso, avrebbe potuto, in quel particolare frangente, trovare un candidato degno?
La scelta ricadde su un eremita, tal Buvlandus Marzanita che, a detta di tutti, era il più rinomato cercatore di miceti. Di lui si favoleggiavano bottini incredibili: porcini giganti, mazze di tamburo dall’aspetto mostruoso e galletti in quantità mai vista.
I maggiorenti scelsero tre delegati e li mandarono in viaggio, come i tre Magi: Terrilus Leguleius, Erminius Davidense e la maga Pinotta. Avrebbero risalito a dorso di mula la via Quarantacinquesima, quella che dopo il castello di Bobbio confluisce nella via Francigena, raggiunto il feudo di Torriglia, sarebbero risaliti al borgo di Rondanina per giungere, finalmente, al luogo dove Buvlandus, viveva in solitudine, nutrendosi di radici e altri prodotti del bosco oltre a qualche brandello di carni pregiate che gli portavano ancora antichi seguaci, quali Spinello d’Erzelli e perfino dal monastero di Soviore, la badessa Lella e le sue consorelle.
Risalirono con cautela le curve della stretta via essendo stati opportunamente messi in guardia: l’eremita di Marzano era solito, in momenti di trance, scendere con il mulo al galoppo e soprattutto contromano. Ma non ci furono problemi.
L’incontro fu memorabile. Nella buia taverna Buvlandus era impegnato in uno scopone. I tre messi attesero che posasse il mazzo sul tavolo, scostasse il boccale di vino ed ebbero il colloquio.
Erminius: “O’ Buvlandus io c’ ho provato per venti mesi, ma questo ‘azzo di città dove mi ha spedito l’imperatore Rentius è impossibile. Son tutti inferosciti, s’ahhapiglieno in ogni ohhasione, so’ peggio di Bersanio l’Emiliano. E hi li mette d’ahhordo ‘sti rompihoglioni. Lo hiesi al dotto Duha Luha Borzanio, ma huello ormai se ne sta hiuso dentro il su’ palazzo e hi lo smove più”.
Poi fu la volta di Terrilus il leguleio, abituato a convincere i magistrati ci provò pure lui.
“Potremmo andare su un giovine…. Meno di settant’anni, quindi un po’inesperto magari, ma pieno di vivacità e di voglia di fare”.
Gli altri storsero i nasi. Ma come? Uno sotto i 70 a Genova? E che c’azzecca?
Buvlandus sobbalzò: “Pensevete mica a quel ciavlatano evede di Dulcamava che impazza sulle piazze dei mevcati, che vuole sfidave tutti a singolav tenzone?”
Terrilus: “Fra Simone da Pavia? Mai e poi mai! Se così fosse fuggirei oltre Giovo…”
Erminius: “Ovvia, alla fin fine si potrebbe dimandare al Marchese di restare, ma rischieremmo dei moti di popolo. Pohi giorni fa li stava fascendo morir di gelo nelle loro hasupole..”
Fu la volta della maga Pinotta. “Io un’idea l’avrei. Riprovare con la badessa Lella…”
Terrilus: “Ma sta a Soviore e deve combattere con la flotta di Orlando il Turco che cinge d’assedio La Spezia”.
Buvlandus bevve un sorso, grugnì qualcosa di incomprensibile e poi pronunciò un nome. “Mastvo Lovenzino de’ Bocconi”.
Gli altri in coro: “Ma stava con le orde del barbaro Mont de Brussel!”
Buvlandus sgranocchiando un castagneu: “E allova? Io stavo con Bevsanio l’Emiliano e pvima con il pivata Massimaccio da Gallipoli …”
Infine l’eremita si prese la testa fra le mani e disse qualche cosa che fu difficile da comprendere.
I tre l’ascoltavano con occhi di sconforto. Terrilus fece presente che le truppe di Alice la Salvatrice erano accampate a Cornigliano, pronte ad entrare in città e la folla, a Ponente, sobbolliva.
Buvlandus chiese: “E Joannes Totius? Dove sta?”
Rispose solerte la maga Pinotta: “E’ già a Roma. Ha fatto l’accordo col Papa”.
Buvlandus non si trattenne: “Belin, lui ce l’ha fatta”.
Terrilus Leguleius: “L’hanno aiutato i comunardi”.
“Belin” ripeté l’eremita scuotendo la testa.
Stavano per risalire sulle mule e tornare in città quando dai campi apparve un mendicante. Era Tulloro Genoanio, che trascinava le stanche membra e reggeva un fardello sulle spalle. S’accostò al gruppo e parlò. “Mi avete chiamato? Io sono sempre a disposizione anche quando le cose vanno male".
Ma Buvlandus non lo lasciò finire, scostò con ira il mazzo di carte, afferrò il boccale di nettare e lo scagliò contro i messi. S’alzò, socchiuse gli occhi, afferrò la verga di castagno che aveva appoggiato al tavolo e rispose a tutti. “Belin, allova tovno io”.
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E i tre messi andarono dal cercatore di funghi
Il memorabile incontro tra Buvlandus e i maggiorenti
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