
Dopo anni di tentativi, è stato raggiunto uno dei risultati più attesi dalla biologia dello sviluppo e considerato la chiave per rispondere a tante domande ancora aperte, come i meccanismi all'origine di molte malattie, le cause dell'infertilità maschile o ancora perchè nove embrioni su dieci non riescono ad attecchire nell'utero.
L'embrione artificiale è stato ottenuto nell'università britannica di Cambridge da Sarah Harrison e da una veterana dell'embriologia, Magdalena Zernicka-Goetz, allieva del pioniere della biologia dello sviluppo John Gurdon. Le ricercatrici hanno ottenuto l'embrione cercando di mimare il più possibile il mix di cellule che in condizioni naturali contribuisce a generare un nuovo individuo.
Finora i tentativi di far sviluppare un embrione in laboratorio finora erano falliti perchè si erano utilizzate solo le cellule staminali destinate a formare l'organismo, ma non quelle del tessuto che lo nutre (trofoblasto) e dal quale ha origine la placenta. "E' un risultato molto importante che, per la prima volta, indica che in linea teorica è possibile che un embrione possa svilupparsi fuori dall'utero", ha rilevato il direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell'università di Pavia, Carlo Alberto Redi. Tuttavia questa al momento è solo una prova di principio.
Nonostante l'embrione artificiale sia simile a un embrione naturale, per i ricercatori è improbabile che possa svilupparsi per dare origine a un feto sano. Perchè questo possa avvenire bisogna utilizzare anche le cellule staminali che permettono la formazione del sacco vitellino, la cui rete di vasi sanguigni è indispensabile per nutrire l'embrione.
"Avere a disposizione un embrione artificiale è un passo in avanti per le conoscenze di base relativi ai primi stadi della vita", ha detto il genetista Edoardo Boncinelli. "E' anche un passo significativo - ha aggiunto - per ridurre al minimo l'uso degli animali nei laboratori".
IL COMMENTO
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