Realizza un’intervista. Con domande. Sensate possibilmente, stimolanti, intriganti, brillanti, qualcosa che faccia decollare il dialogo, che non metta in soggezione l’interlocutore, che lo accompagni senza accorgersene tra le sue parole, che ti permetta di camminare curioso attraverso i suoi pensieri.
Attiva l’audio, controlla la spia, rigorosamente rossa, conferma ultima di un video che non può essere ripetuto, lo scacco matto che forse non si ripeterà.
Un decalogo che, se lo trovassi scritto forse su un manuale di giornalismo, su un sito web, costruirebbe nella mia fantasia l’idea di un mestiere che, seppur dinamico e frenetico, risponde al rigore dell’azione-reazione, alla sicurezza per cui, impostando correttamente il mio lavoro, il risultato non può che essere perfetto.
Eppure in questa prima giornata di orientamenti, i 12 ragazzi del progetto di alternanza di Primocanale, in quella loro travolgente e contagiosa voglia di fare, vulcani di idee che fanno accendere un sorriso anche sul volto di coloro che vivono nella convinzione che “le nuove generazioni siano scollegate dalla realtà”, i ragazzi si scontrano con la dura realtà dell’inconveniente. Il treno direttissimo, la Frecciarossa su cui prima ognuno di loro era a proprio modo salito, si era accomodato, aveva sbottonato la giacca e, sicuro dell’arrivo, aveva semplicemente deciso di godersi il panorama, una cosa alla “the show must go on”, ora subisce i primi rallentamenti, ora improvvisamente si blocca.
Ecco che cade la teoria, ecco subentrare il dubbio, l’incerto, l’ignoto. È il lavoro di squadra che salva ognuno di loro in questa landa desolata, quella stazione di periferia dove il treno si è accidentalmente fermato. Collaborazione diventa la parola chiave, l’arma vincente. In un ingranaggio che a fine giornata si ha la conferma che sia perfettamente funzionante, l’unione tra le parti è il vero motore: chi registra non intervista, chi intervista non registra. Eppure nel momento buca, tra un “buongiorno a tutti” e un “vai che inizia la registrazione”, c’è chi afferra la fotocamera e immortala il dettaglio che era sfuggito all’amico, propone quell’idea che, dopo venti minuti ormai di lambiccamenti, ha preso finalmente forma.
Gli ospiti del Salone dello Studente non possono che percepire questo clima positivo, questo calore che con lo scorrere del tempo è andato crescendo e, lasciandosi un tanto andare davanti alla telecamera, vengono coinvolti, travolti oserei dire, da nuova allegria. L’inconveniente, lo sbaglio ormai non fa più paura, non viene sicuramente vissuto con superficialità ma, lavorando un poco in questa nuova loro esperienza, entrando in contatto con le altri mille realtà di orientamenti, i nostri giovani nuovi eroi iniziano pian piano a maturare una nuova consapevolezza, a ragionare come un unico essere, come quella che il primo giorno, hanno presentato loro come “la famiglia di Primocanale”.
cronaca
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