
Squadre fatte di persone che praticano lo sport abitualmente o soltanto in occasioni di aggregazione come queste; squadre di amici, di migranti che hanno ottenuto lo stato di rifugiati, e poi, ad esempio, richiedenti asilo e formazioni nate nell’ambito progetti di inclusione sociale, negli Sprar, secondo una costante, comune, visione di bene collettivo e di umanità. Persone, quindi, con le loro storie normali e al tempo stesso straordinarie, di sport e integrazione, di valori quotidiani e convivenza.
Il messaggio dominante dell’edizione di quest’anno dei Mondiali Antirazzisti è stato “La differenza ci unisce”. L’unione di umanità che dai campi da gioco si è ritrovato lì, in quel mare da dove è partita la storia del cosiddetto “modello Riace”: il mare da cui, complice il vento, sono arrivati con un veliero i primi migranti e da cui è nato lo spunto per la creazione di un modello considerato da molti e su scala mondiale esempio di accoglienza.
Il titolo sportivo della manifestazione è andato alla squadra di San Giovanni Apostolo di Palermo che ha vinto 3-2 su quella del Centro di Camini, vicino a Riace, al quale è andata comunque la Coppa Accoglienza, uno dei principali riconoscimenti dei Mondiali Antirazzisti Uisp.
Ma a vincere sono stati poi tutti, uomini e donne, ragazze e ragazzi, come simboleggia la Coppa Mondiali Antirazzisti assegnata a tutti i partecipanti. Un premio che ha come sfondo sempre il mare di Riace, il mare da dove tutto è iniziato e da dove tutto, come sperano in molti, dovrà ricominciare.
IL COMMENTO
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