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Unità nazionale. Non nel senso di un governo-accrocchio, del quale facciano parte tutte le forze politiche. Bensì un esecutivo che possa godere dell'aiuto di tutta la classe dirigente del Paese e che abbia l'umiltà di accettarla. Anzi, di chiederla. A distanza di pochi minuti, sulla stessa rete televisiva - La7 - quel concetto viene espresso da due personaggi che invece gli italiani li hanno profondamente e lungamente divisi: Romano Prodi e Silvio Berlusconi.

Fa un certo effetto sentirli parlare come se fossero alleati. Anzi, fa effetto proprio perché scopri che messi di fronte alla pandemia e alle sue disastrose conseguenze non sono più avversari ma esattamente alleati. Interpreti di uno spirito unitario che va oltre le appartenenze e propone un Paese che sappia riguadagnare l'orgoglio e la coesione mostrati la primavera scorsa. Non un secolo fa.

Ecco, la lezione di questi due "vecchi" dovrebbe essere colta al volo da tutti gli altri protagonisti della politica italiana, sia sullo scenario nazionale sia su quello regionale. Non parlo di quello locale dei Comuni, perché i sindaci sono generalmente espressione di amministrazioni che traggono linfa dalla loro attività quotidiana sulle cose pratiche, più vicine ai cittadini. Poi possono fare bene o meno bene questo lavoro, saranno i loro elettori a giudicare, ma non c'è dubbio che l'impegno ce lo mettano tutto.

Il messaggio di Prodi e Berlusconi è tanto più importante da essere raccolto quanto più alta è l'asticella che l'Italia deve superare. In questo momento, ogni polemica sottrae energia all'obiettivo comune di sconfiggere il Covid. Per questo motivo non mi piace il governatore ligure che, durante l'intervista a Primocanale lunedì scorso, sottolinea come la decisione di spostare la Liguria in zona arancione sia stata "presa dal governo, quindi da Roma e non da Genova". È esattamente così, certo. Però la sottolineatura, indirettamente ma chiaramente, si pone in polemica proprio nel momento in cui lo stesso Toti giudica "inopportuno aprire adesso delle discussioni".

Il governatore ligure, invece, mi piace, e in qualche modo anticipa l'esortazione di Prodi e Berlusconi, quando commenta costruttivamente la scelta del governo: "Accettiamo serenamente di andare in zona arancione, se sarà utile non faremo storie anche ad andare in zona rossa, ma sempre con l'obiettivo di tornare il più rapidamente possibile in fascia gialla". Ecco, è così che si fa. Soprattutto se l'impegno più gravoso, una vera e propria quadratura del cerchio, è contemperare le necessità della salute pubblica con le esigenze dell'economia.

Infatti, se si decidesse un lockdown totale avremmo sicuramente effetti benefici sulla diffusione dei contagi, però le conseguenze sul tessuto sociale ed economico sarebbero devastanti. Dunque, la ricetta del governo pare la più convincente: procedere a strappi, singole regioni ora in zona più libera ora in zona più chiusa, a seconda dell'andamento della pandemia. Lo stesso Toti ritiene "di buon senso" questa scelta, perché consente alla parte di Paese in giallo o in arancione di sostenere quella in rosso secondo una alternanza, potremmo dire una turnazione, che sembra l'unica possibile per una sintesi fra salute ed economia.

Affinché la cosa riesca, tuttavia, serve tanta, tanta, tanta coesione. Quell'unità nazionale che come dicono Prodi e Berlusconi va oltre gli schieramenti. Non è poi così difficile. Ma bisogna volerla.