Il Comitato tecnico scientifico (Cts) dice che il Festival di Sanremo si può fare. Benedice, infatti, il nuovo protocollo della Rai che metterebbe in sicurezza la manifestazione canora: tutta una serie di regole grazie alle quali la kermesse viene snaturata. Il Festival si fa: senza pubblico, senza alcun tipo di assembramento (anche nel retropalco, viene affermato), senza nulla di ciò che da sempre caratterizza la rassegna.
Il sindaco della città dei fiori, Alberto Biancheri, sarà contento: i cinque milioni che deve incassare dalla Rai sono salvi. Potrà sperperarli come meglio crede, alla stregua delle decine di milioni del bilancio municipale che, in tempi vari, gli inquilini di Palazzo Bellevue si sono fatti fuori senza che se ne trovi traccia nel miglioramento della vita dei sanremesi.
Un po' meno contenti sono i cultori di un Festival che è insieme vetrina di nuove canzoni e festa di popolo. L'antico teorema della Rai secondo cui la kermesse null'altro è se non una parata che la televisione di Stato potrebbe organizzare ovunque viene sublimata. Del precedente sembra non fregare niente a nessuno, in primis la stessa amministrazione civica, ma intanto starà lì, da ora in poi, a dimostrare che quanto fatto in era di pandemia si può a maggior ragione fare quando essa sarà superata.
Se stiamo all'oggi, però, certo che la decisione del Cts fa un un po' ridere, se non ci fosse da piangere. Dunque: la Rai, che è parte in causa, presenta un protocollo di regole e ottiene il via libera a fare il Festival. Ristoratori e baristi, che sono parte in causa, si vedono imporre nuove regole sanitarie contro la pandemia, fanno i conseguenti investimenti per adeguare i loro locali, ma alla fine restano inesorabilmente chiusi alla sera, anche se in zona gialla (se arancione o rossa non ne parliamo).
Se uno arrivasse da Marte, non capirebbe. Per la verità non si capisce neppure se già stai in questo disgraziatissimo lembo di terra che si chiama Italia. Perché il Cts quando si tratta del Festival ti spiega che con le regole della Rai la kermesse si può fare, mentre se immagini di riaprire i ristoranti fino alle 22 si può fare solo se la politica, cioè il governo, si prende la responsabilità finale della decisione.
In questo atteggiamento, detto francamente, bisogna cercare con il lanternino che cosa ci sia di scientifico. E anche sulla scelta di consentire il Festival. La provincia di Imperia sta sopra le medie liguri in fatto di contagi: l'ultima notizia è che forse i francesi, attraverso i frontalieri, cioè pendolari del lavoro, ci stanno mandando dei contagi. Dunque, ha spiegato il governatore Giovanni Toti, "proprio per questa ragione i frontalieri saranno tra i primi ad essere vaccinati, appena ci saranno le dosi a disposizione".
Appare sensato. Come ha più di una ragione, Toti, quando chiede che, parlando di vaccinazioni degli over 80, il siero dovrebbe essere assegnato alle Regioni non in base al numero di abitanti in generale, ma in base al diverso numero di anziani che vivono in ognuna delle Regioni. Non sono dettagli, nella guerra alla pandemia. Eppure, in una zona, l'Imperiese, per evidenti e più motivi a rischio contagi, si cala l'azzardo del Festival. Con la stessa benevolenza di Toti.
Nessuno se lo augura. Anzi, tutti speriamo il contrario. Ma se anche grazie alla kermesse canora in versione pandemica aumenteranno gli ammalati di covid in provincia di Imperia, quindi in Liguria e in Italia, in tanti dovranno dare delle spiegazioni. A noi resterà l'amaro in bocca. Perché in questi casi il possibile "l'avevamo detto" non ripagherà per niente.
cronaca
Sì al Festival, no ai ristoratori. Cts doppiopesista sul covid
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