
I primi risultati emergono da uno studio condotto, con l'arruolamento di un centinaio di pazienti, dal team di Arianna Di Stadio, coordinatore di Ricerca in Otorinolaringoiatria e Docente di Neuroscienze all'Università di Perugia, nonchè ricercatore onorario al dipartimento Neuroscienze della Quenn Square Neurology UCL di Londra. Lo studio è stato avviato a novembre 2020. "Lo studio parte dall'ipotesi che la causa della perdita dell'olfatto interessi il sistema nervoso centrale. Ipotesi confermata dai risultati stessi del lavoro e da altri precedenti studi scientifici, che superano la teoria dell'ostruzione periferica - spiega Di Stadio -. Il virus determina dunque un'infezione e infiammazione dell'encefalo che, alterando i processi di trasmissione del segnale, produce ripercussioni totali o parziali sull'olfatto con il rischio che, una volta atrofizzata la struttura (il bulbo olfattivo), l'anosmia diventi irrecuperabile.
L'encefalo tende a riparare i danni autonomamente nell'arco di uno/due anni, ma questo potrebbe non avvenire. Per questo motivo è importante intervenire quanto prima, sottoponendosi a trattamenti in grado di restituire la capacità di odorare e gustare entro pochi mesi dalla manifestazione del disturbo". Lo studio è attualmente condotto all'ospedale Fano ma nuovi centri in Italia sono in via di arruolamento (Roma e Cagliari) per implementare il numero dei pazienti e offrire una copertura più vasta sul territorio nazionale per il trattamento di questo problema.
IL COMMENTO
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