Quando ero fanciullo mi capitava spesso di sentire storie narrate dai Nostri anziani, che parlavano di lotte e di stenti. Storie che raccontavano di come fosse estremamente complicato spostarsi anche solo di pochi chilometri. Una signora mi raccontò delle peripezie fatte, assieme alla Sua compare, per arrivare a Genova a prendere la farina. Due giorni ci vollero! Eroine.
Quando le ascoltavo, pensando ai miei via vai quotidiani, fossero essi per motivi di studio, atletica o altro, avevo davvero difficoltà ad immedesimarmi in quelle situazioni. Due giorni per andare e tornare da Genova, follia. Oggi abbiamo a disposizione talmente tante alternative che davvero, nemmeno a piedi ci si impiegherebbe quel tempo. Ma si sa, nell’epoca bellica o post, le complicazioni erano all’ordine del giorno, continue, quasi normali. Strade poche e spesso malmesse, risorse irrisorie, mezzi di trasporto rari ed incerti. Si usciva da un periodo devastante, sotto tutti gli aspetti e, come tutti sappiamo bene, ci vollero decenni per trasformare l’utopia in realtà.
Per tanto tempo abbiamo vissuto di rendita e diciamocelo, ci siamo anche un po’ adagiati, convinti delle Nostre conquiste. Da qualche anno però, siamo tornati alle complicazioni. Sia chiaro: lungi da me paragonare quei periodi all’attualità. Con le dovute proporzioni però, l’oggi mi ricorda molto le sensazioni che provavo sentendo quei racconti. Qui limitiamoci solo agli spostamenti.
Se abiti in Liguria, soprattutto da qualche anno, sai quando parti, ma non sai quando arriverai. La tragedia del ponte Morandi è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso dell’incuria, dell’interesse, dell’egoismo e della vergogna. La ricordo bene quella mattina di Agosto, piovosa e atipica per una stagione come quella. Da Sindaco capii man mano cosa avrebbe voluto dire quel giorno. Ci trovammo in Valle, la Valpolcevera, totalmente scollegata dal resto. Furono mesi complicati, ma ci rialzammo, convinti che il peggio fosse passato. Da lì, per Noi liguri, fu l’inizio di un incubo in cui siamo piombati e da cui non sappiamo quando ne verremo fuori. Lavori, chiusure a tappeto, con ripercussioni sulla viabilità ordinaria della città, dell’entroterra e non solo, poca chiarezza sui termini e le tempistiche, poca lungimiranza nella programmazione degli interventi, danni subiti dalle categorie economiche liguri tra perdita di fatturato e maggiori costi sostenuti. Insomma, il danno per una regione come la Nostra è difficilmente calcolabile.
Ultimo esempio? I lavori del Consiglio regionale iniziati con un’ora di ritardo per l’apocalisse mattutina. Oggi è toccato all’A10.
A volte leggo di stime che parlano di 1 miliardo di Euro perso. Questo conto chi lo pagherà? L’attuale gestore o i cittadini? Questa domanda me la pongo spesso, ma risposte non ne arrivano. O meglio, qualche risposta indiretta a volte arriva. Mi riferisco alle difficoltà nell’ottenere esenzioni dai pedaggi. Mi riferisco all’incuranza, come accennavo prima, nel pensare, programmare e imporre lavori, certamente necessari, ma alienati dalle esigenze dei cittadini. Una situazione che ci rende lo zimbello d’Italia, quasi comica, se in ballo non ci fosse una ripartenza economica e sociale già duramente provata dal Covid. Se mi sentissero quelle anziane Signore..
Ora torno a rispondere alle persone che mi stanno scrivendo. Persone che questa mattina hanno mancato l’appuntamento al vaccino per una percorrenza autostradale media di un paio d’ore. Che dire, sipario.
Armando Sanna* Vice presidente consiglio regionale della Liguria
porti e logistica
Autostrade, chi pagherà il conto?
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