Carige adesso non è più un boccone avvelenato

Il tipo non omertoso ed gi un buon inizio. Francesco Guido, l'amministratore delegato di Banca Carige, guarda cio le cose del "suo" istituto con occhio laico: non nasconde le criticit, ma dispensa ottimismo. In altri tempi, si sarebbe detto che il top manager fa soltanto il proprio gioco. Ma questa volta un po' diverso.

Trascorse vicissitudini di ogni genere, che si sono portate appresso la fine di un'epoca (la Carige sesto gruppo bancario italiano) e guai infiniti, effettivamente oggi il principale istituto di credito ligure pu guardare al futuro con un certo ottimismo. I conti hanno ripreso ad andare molto meglio, ma soprattutto non pi cos vero che Carige sia un boccone avvelenato.

Un acquirente che abbia davvero voglia di prendersi la banca e farle fare con profitto il suo mestiere ha pi di una ragione per compiere il passo. E chi dice che le cose non stanno in questo modo lo fa soltanto per spuntare, legittimamente ma con un pizzico di strumentalit, un prezzo migliore. Guido si appella anche al fatto che Carige rimane in Liguria la banca del territorio per antonomasia. Che cosa questa definizione abbia comportato, in Liguria come nel resto d'Italia, sotto gli occhi di tutti: denaro dato agli amici degli amici, senza garanzie di sorta, politica che ha fatto il bello e il cattivo tempo, manager che hanno considerato la banca (vedi il ligure Giovanni Berneschi, ex presidente) una loro propriet, con ci che ne conseguito. Dio ce ne liberi una volta per tutte.

Se per banca del territorio, invece, intendiamo semplicemente il fatto che un istituto ha i propri clienti concentrati soprattutto in una regione, con una accezione neutra della definizione, allora non c' dubbio che l'affermazione di Guido sia vera. Di pi, effettivamente un valore aggiunto che Carige si porta dietro nell'ottica di una fusione. E questo l'obiettivo di oggi.

Gli stress test della Banca centrale europea ci riconsegnano una Carige che nello scenario normale centra gli obiettivi richiesti da Francoforte, mentre nello scenario avverso sarebbe costretta a capitolare. Ma talmente remota, questa eventualit, da valere solo come ipotesi di scuola. Lo sa benissimo Guido, che difatti lo dice, e lo sanno benissimo i banchieri europei, che possono far leva sull'argomento, anche qui, giusto per ottenere uno sconto.

E ci pu essere una cosa realistica, considerando che il Fondo interbancario, oggi maggiore azionista di Carige, deve trovare un socio per la banca entro il 2022, altrimenti bisognerebbe procedere a un nuovo aumento di capitale da 400 milioni (ad oggi) per consentire all'istituto di rimanere in linea di galleggiamento. La criticit vera questa: di soci possibili ce ne sono molti, in giro, ma tutti al momento preferiscono sottolineare le difficolt del dossier, anzich le prospettive migliori.

Qualche chiarimento in pi dovrebbe arrivare in autunno, quando sapremo meglio due cose. La prima: se Unicredit davvero si prender il Monte Paschi di Siena, si aprir prevedibilmente una nuova stagione di aggregazioni. La seconda: Carige conoscer il primo esito della controversia legale con la famiglia Malacalza, che ha chiesto oltre 500 milioni di danni.

La banca non ritiene verosimile l'ipotesi di una sconfitta e per questa ragione non ha accantonato neanche un centesimo "alla bisogna". Follia, si dir. No. Carige ha ritenuto di non appesantire i conti: perch punta forte sulla vittoria legale, perch scommette che entro il 2022 ci sar un nuovo "padrone" a doverci pensare e perch comunque esisterebbero i tempi per mettere da parte il tesoretto che dovesse servire per pagare i Malacalza. S, questa Carige non pi un boccone avvelenato. E non vale solo un piatto di lenticchie.