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Il calo dei votanti è il comune denominatore dalle Alpi alla Sicilia
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 Mentre infuria ancora il maltempo e bisogna fare i primi conti dei tanti e gravi danni subiti, appare un po' surreale scrivere di politica. Bisogna farlo per dovere professionale e anche perché sia il dato nazionale sia quello regionale ligure dicono la stessa cosa: il calo dei votanti è il comune denominatore dalle Alpi alla Sicilia, sebbene si trattasse di amministrative, cioè di elezioni che abitualmente richiamano più persone alle urne per la forza della componente locale. Questa volta, invece, le cose sono andate diversamente e segnano in modo marcatissimo la distanza fra i reali bisogni dei cittadini e ciò di cui dibattono i partiti e i singoli politici.

Due casi, su tutti. Il primo è di tipo generale: la Lega e Fratelli d'Italia hanno insistito nel polemizzare sul green pass e nello strizzare l'occhio ai no-vax. Non sono entrati in sintonia con le migliaia di persone che hanno perso il posto di lavoro o con quelle partite Iva che hanno visto restringersi le possibilità di sopravvivenza della loro attività. Ma cosa volete che freghi del green pass o dei no- vax a tutti costoro? Sono sempre stati un punto di riferimento elettorale per il centrodestra, ma stavolta si sono rivolti altrove.

Il secondo caso in qualche modo deriva dal primo, anche se amplia i confini del ragionamento. A Savona sarà ballottaggio fra Russo e Schirru, ma la distanza fra i due risulta tanto ampia quanto impronosticata. Vuol dire, però, che il centrodestra ligure non è così in salute come i suoi esponenti di maggiore rilevanza sono andati ripetendo. E certo non hanno giovato le divisioni, pur negate, fra il sindaco di Genova Bucci e il governatore ligure Toti, così come non hanno aiutato le polemiche sulle liste personali dei candidati. Forse non è un caso: ogni volta che nel centrodestra si litiga, i voti vanno a farsi benedire.

La stessa cosa che è capitata ai 5 Stelle. Per onestà intellettuale bisogna dire che i grillini non hanno mai ottenuto grandi risultati alle comunali, però avevano conquistato città come Torino e Roma e se adesso lì non vanno più neppure al ballottaggio vuol dire che l'ondata protestaria non è più stata intercettata dal Movimento. O si è sfogata nell'astensionismo, oppure è tornata all'ovile dell'establishment, leggi il Pd.

In effetti il partito guidato da Enrico Letta, che torna in Parlamento avendo vinto le suppletive di Siena, canta vittoria. Ma, in realtà, questo sembra più il caso di una partita che è stata persa dagli altri. I ballottaggi, da Savona a Roma, ci diranno qualcosa di più sullo stato di salute del centrosinistra, anche perché fra quindici giorni varranno non solo i programmi dei singoli candidati, ma peserà pure il voto di opinione. Nell'attesa, il centrosinistra ha appreso che anche una città come Genova può essere contendibile: ma bisogna avere il candidato giusto, come a Milano o a Napoli. In definitiva, la tornata elettorale segna una sconfitta indiscriminata dei partiti. E questo rafforza inevitabilmente il governo guidato da Mario Draghi: nessuno, ma proprio nessuno, può pensare di fargli lo sgambetto. A ben vedere, è l'unica buona notizia di queste ore.