Il summit del G8 nel luglio del 2001 era finito. Gli aerei che avrebbero riportato i Grandi della Terra nelle loro capitali erano già tutti partiti dal Colombo. L’enorme Air Force One con Bush, il suo seguito e i suoi uomini dell’Fbi, quelli che avrebbero ricondotto a Tokyo Koyzumi, a Parigi Chirac, a Londra Blair, a Bonn Schroeder, a Roma Berlusconi. Tutti si erano staccati dalla pista dell’aeroporto di Genova. Nelle redazioni dei giornali e delle televisioni si stemperava la tensione di quelle ore, culminate nella tragedia di Carlo Giuliani, si cancellava lentamente la fatica. Gli operai dell’Amiu si apprestavano a smontare le tremende cancellate che avevano diviso Genova in due città, quella paradisiaca dei Grandi e quella allucinante delle violenze e dei saccheggi.
Erano le 23 circa. Quando ai giornalisti arriva una segnalazione: sta succedendo qualcosa di strano in via Cesare Battisti, davanti alla media Diaz. Basta che il primo giornalista raggiunga la scuola e tutta la vicenda del G8 di Genova si riapre drammaticamente. Le immagini che allora Primocanale trasmise in tutto il mondo ne sono incancellabile testimonianza. Incancellabile e incontestabile. Un gruppo di agenti in assetto anti-guerriglia entra all’interno della scuola al comando di alcuni massimi dirigenti nazionali e locali della polizia. E’ un macello. Sangue, feriti, urla.
Il resto è cronaca giudiziaria e politica. La sentenza di ieri con molte assoluzioni dice, in sintesi, che la responsabilità del massacro fu solo di alcuni poliziotti esaltati e di due o tre loro capi. Non ci fu nessuna premeditazione, nessuno dall’esterno organizzò a tavolino l’assalto. I fatti della Diaz non hanno niente a che vedere con le devastazioni dei black block in una città annichilita. I black block distrussero e in buona parte furono lasciati liberi di farlo. L’assalto alla Diaz avvenne “ a freddo”, quando tutto era finito e determinò, poi, uno strascico politico che in buona parte si risolse anche in una gogna mediatica per tutta la polizia.
La responsabilità fu di un gruppo (nutrito) di persone, ben individuate anche dalle telecamere. Chiudere la vicenda affermando che la macelleria messicana, come fu definita da alcuni, scoppiò per caso, per colpa di una decina di esaltati, che si trovavano in via Trento per caso, lascia perplessi. Indigna coloro che, politicamente, chiedono da tempo una commissione d’indagine, ma, credo, anche molti semplici cittadini che con i loro occhi, non filtrati dalla ideologia, furono testimoni di quello che accadde dentro le aule di una vecchia scuola di quartiere, trasformata in una tonnara.
IL COMMENTO
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