GENOVA - "Si sapeva dal 1975, otto anni dopo l'inaugurazione, che Ponte Morandi era a rischio per la corrosione del calcestruzzo, e se ne era accorto lo stesso Morandi che nel 1981 si era raccomandato con Autostrade che fossero effettuati adeguati monitoraggi ai tiranti nascosti nel cemento".
E' la sintesi della lunga e dettagliata deposizione tecnica di Paolo Rugarli, ingegnere teste dei Pm e delle famiglie Bellasio e Possetti, due delle parti civili.
Il tecnico stamane ha spiegato in aula che i tiranti del viadotto erano la parte più importante e reggevano l'intera struttura e che per questo era necessario monitorarli con la massima attenzione. "Senza tiranti il Morandi non avrebbe sostenuto neppure sé stesso, altro che veicoli, era questo il peso che gravava di più sulla struttura" ha sottolineato Rugarli che appena due anni prima della tragedia aveva scritto un libro per sottolineare la fragilità di alcuni ponti nel mondo, fra cui il Morandi.
"Autostrade - ha rincarato il tecnico - ha effettuato un controllo nella pila 9 ben quarant'anni dopo la prima notizia del rischio corrosione del ponte, il carotaggio svolto nello strallo della pila 9 che ha provocato il crollo è stato infatti effettuato nel 2015. Verifica che aveva permesso di accertare un'elevata corrosione dei fili, ma nonostante questo e dopo essere intervenuti negli anni '90 sulle degradate pile 10 e 11, si è atteso sino al 2018 per approntare un progetto di retrofitting della pila 9, lavoro infatti appaltato solo nel maggio del 2018, appena tre mesi prima della tragedia, troppo tardi per evitare il crollo.
Stamane in aula si è rivisto l'ex amministratore delegato di Autostrade Giovanni Castellucci. Una presenza che per Emmanuel Diaz, fratello di una delle vittime della tragedia, è stata "solo un modo per sviare l'attenzione dalla perizia".
Perizia, quella di Rugarli, che l'avvocato Luca Marafioti, difensore di alcuni funzionari Spea imputati, ha provato a fare rinviare prima dell'inizio "perchè il tecnico era anche nella lista dei testi dei pm".
Ma il collegio giudicante dopo avere chiesto una sospensione di alcuni minuti per decidere ha avvallato l'audizione dell'ingegnere strutturista milanese, fra l'altro con l'avvallo dell'avvocato Accinni che assiste Castellucci, d'accordo sulla eccezione sollevata del collega Luca Marafioti, ma non sulla proposta di rinviare la testimonianza di Rugarli.
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All'inizio dell'udienza il giudice Lepri ha preso atto, come da lui proposto, della rinuncia di tutte le parti alla testimonianza Martin Kucera, camionista ceco 46enne sopravvissuto al disastro, che ha rifiutato di venire in Italia per testimoniare.
Gli inquirenti avrebbero potuto andare a interrogarlo nella repubblica Ceca, ma visto che già ai finanzieri aveva detto di non avere visto cadere il rotolo di acciaio dal camion, per Autostrade fra le possibili cause del crollo, si è ritenuto di rinunciare alla sua deposizione.
Come si ricorderà Kucera guidava il tir pochi metri dietro al camion da cui sarebbe caduto il “coil” di acciaio semilavorato – una bobina dal peso di 3,5 tonnellate – indicato da alcuni esperti quale causa del collasso della struttura. Causa proposta in alternativa a quella ipotizzata dagli inquirenti, cioè il cedimento degli stralli per mancata manutenzione imputabile alla concessionaria. L’autista ceco si era salvato nonostante un volo di 45 metri, cavandosela con quattro costole rotte e una frattura al setto nasale e venendo dimesso appena sette giorni dopo, il 21 agosto. Tornato in patria, ha raccontato in più occasioni la propria esperienza a giornali e tv. Ma oggi Kucera non vorrebbe più ricordare e neppure tornare in Italia.
IL COMMENTO
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