GENOVA - Quando l'Ufficio cultura della Diocesi di Genova aveva programmato questo incontro a settembre non si immaginava che oggi l'intelligenza artificiale fosse al centro del discorso di Papa Francesco in occasione della 57esima Giornata Mondiale della Pace. A Palazzo Ducale era stato invitato padre Paolo Benanti, professore presso la Pontificia Università Gregoriana e presidente della Commissione sull’intelligenza artificiale per l’informazione in Italia. Teologo e filosofo, è membro del Comitato sull'intelligenza artificiale delle Nazioni Unite e consigliere di Papa Francesco sui temi legati all'innovazione tecnologica. In un dialogo con il professor Davide Anguita, coordinatore dei corsi di studio in Ingegneria informatica e Computer Engineering all’Università degli studi di Genova, ha toccato diversi spunti in una Sala del Maggior Consiglio piena di persone e anche tanti giovani. Lo abbiamo intervistato prima dell'incontro.
Intanto partiamo da rapporto con l'intelligenza artificiale e il giornalismo. Come vede il futuro dell'informazione?
Ma io partirei da quello che è sostanzialmente l'elemento fondamentale per ogni Stato democratico. Il Washington Post nel suo sottotitolo ha un motto "La democrazia muore nell'oscurità". Questo ci ricorda che il giornalismo ha una funzione fondamentale nel nutrire quella consapevolezza che sta alla base dei processi democratici, nel creare una società civile consapevole che possa scegliere. E se l'intelligenza artificiale minaccia in qualche misura quella che può essere la professione del giornalismo, allora di conseguenza è minacciato un qualcosa che è fondamentale per il contesto democratico. Non è automatico che l'intelligenza artificiale sia nemica al giornalismo. Lo può essere se noi rinunciamo a gestire l'impatto che questa avrà nel giornalismo e lasciamo che sia semplicemente la regola del mercato o del guadagno a essere l'unico motore perché il giornalismo possa svolgere la sua funzione. C'è bisogno quindi anche di un comparto industriale del giornalismo che sia in grado di mantenere quelli che sono le figure professionali di cui abbiamo bisogno. La sfida è tutta qua: gestire l'innovazione perché sia uno sviluppo del giornalismo e non semplicemente un danno a questo settore.
Si parla sempre in termini di rischi, anche nelle normative europee che si stanno venendo a delineare: forse bisognerebbe più guardare alle opportunità? Anche perché l'intelligenza artificiale del resto siamo noi che la governiamo...
Sì e che in realtà la categoria del rischio è una categoria giuridica molto precisa quindi è quasi una tecnicalità, un termine tecnico. Quando parliamo di rischi e di mappare i rischi, serve in realtà per dare alla legge una particolare efficacia nello spazio pubblico. La legge non è tutto però: anche in Italia si sta lavorando a un ddl, a un disegno di legge sulla intelligenza artificiale. C'è prima da fare un disegno di quello che vogliamo e poi eventualmente andiamo a discutere con degli strumenti giuridici per mitigare quello che non vogliamo, ovvero per mettere dei guardrail che evitino incidenti nell'utilizzo dell'Ia.
Per quanto riguarda proprio le normative anche per l'editoria, cosa possiamo fare per evitare che l'Ia venga utilizzata per tagliare posti di lavoro?
Ecco su questo la Commissione che sta lavorando abbiamo consegnato una relazione e vediamo quanto di questo verrà accolto dal Governo in questo annunciato disegno di legge. Penso che lo scopriremo insieme proprio nelle prossime settimane.
Per quanto riguarda invece le applicazioni positive dell'IA lei quali porterebbe ad esempio?
Senz'altro abbiamo la possibilità, guardando alla realtà in maniera globale, di portare una medicina di qualità anche in posti dove ora facciamo fatica perché la possiamo distribuire come oggi distribuiamo un cellulare. Ovunque ci sia connettività c'è la possibilità di portare anche elementi che aiutano la diagnosi con l'intelligenza artificiale. Altro elemento potrebbe essere utile è usarla per l'autonomia delle persone, soprattutto degli anziani. Siamo all'interno di una società che invecchia. La società italiana è molto vecchia. Pensate quanto può guadagnare in autonomia un anziano quando ha uno strumento di intelligenza artificiale che lo aiuta a fare i compiti tutti i giorni e così via. Gli esempi sono infiniti. Fino a quando questo artefatto diventa uno strumento, un utensile può aiutare? Sì. Ma quando diventa ahimè, un'arma, lì diventa un problema.
Nel mondo del giornalismo italiano viene vista come una minaccia, ma possiamo magari provare a invertire il trend anche facendo in modo che le piattaforme di privati si appoggino ad un giornalismo di qualità per essere informati sulla realtà? Anche perché per leggere l'attualità la macchina ha bisogno dell'uomo...
Questo sarebbe un desiderio molto auspicabile. Il problema vero è che qui abbiamo anche attori internazionali. Le grandi piattaforme non sono piattaforme nazionali, ma sono piattaforme che rispondono anche ad altri Stati, ad altri ordinamenti giuridici. Non è impossibile, è solo molto complesso. Richiede un accordo che è più grande del singolo accordo nazionale. Penso che in questa direzione il G7, l'Europa e anche il lavoro che si sta facendo alle Nazioni Unite potrebbero portare dei buoni risultati.
E sicuramente anche poi anche sviluppare la ricerca qui in Italia...
Questo senz'altro. L'Italia se vuole essere protagonista deve esserlo contribuendo a questo fattore di innovazione. Lasciatemi dire però che in realtà la qualità accademica italiana è molto alta. Quello che manca in questo anello è l'anello di congiunzione tra l'accademia e l'impresa. Per far sì che i nostri laureati STEM non debbano andare all'estero per lavorare su queste materie, ma trovino un comparto industriale che è aperto, che è disposto a ricevere le loro iniziative.
L'ultimo, il Papa ha parlato del non lasciarsi diciamo cannibalizzare, disumanizzare dalla tecnologia e forse un po per chi utilizza queste tecnologie. Già, anche senza l'IA sta avvenendo. Noi siamo molto schiavi. Oggi dell'intelligenza artificiale, della tecnologia di questi dispositivi. Come possiamo invertire la rotta e rimettere l'uomo al centro?
Beh, fondamentalmente ricordandoci quali sono i nostri fini, non facendoci direzione della macchina. La vita umana non è fatta solo di cose che hanno uno scopo. La zappa serve a zappare, un fiore non ha nessuno scopo, ma è pieno di senso. Se io regalo un fiore a una persona accade qualcosa di diverso rispetto a qualsiasi altro agire strumentale. L'agire, che è quello che ci fa veramente umani, è da rimettere al centro della nostra vita comunitaria perché non sia la relazione con la macchina ma la relazione con un altro al centro delle nostre esperienze.
Anche la macchina però forse sogna questo infatti vuole prendersi la relazione, la creatività.
Ma c'è un famoso libro che si chiedeva se gli androidi quando dormono sognano pecore elettriche, da cui nasce il film "Blade Runner". Lasciamolo alla fantascienza, quello.
IL COMMENTO
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