Attualità

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di Riccardo Olivieri

GENOVA - "Osservare l'evoluzione politica del Paese e soprattutto mantenere una democrazia funzionante come quella attuale, stando attenti che non ci sia qualcuno che invoca una situazione immutabile come una dittatura": sono questi i compiti che Gilberto Salmoni, 94 anni, reduce dell'olocausto affida alle nuove generazioni, che hanno il difficile compito di mantenere viva la memoria di ciò che è stato perché non si possa più ripetere. Salmoni da bambino venne "deportato a Buchenwald con mio fratello maggiore, che era stato un ufficiale degli alpini prima che venissero le leggi razziali. Era una persona molto forte e più robusta di me, molto più intelligente nel capire quali fossero le regole del campo e cercava di proteggermi in tutti i modi. Io cercavo di seguire le regole - racconta -, lavoravo come tutti gli altri, naturalmente il meno possibile perché il mangiare era quasi niente, ci vedevamo dimagrire con una certa preoccupazione".

Salmoni avverte: "Quello che è successo è lontano negli anni ma è avvenuto da un momento all'altro, e soprattutto in un Paese come la Germania che era governata da una persona non classificabile. Del resto anche noi avevamo Mussolini che era una specie di attore di secondo livello che però riusciva a incantare la gente, che aveva regalato al sovrano l'impero etiopico che l'Italia ha pagato caro: arrivarono le sanzioni della Società delle Nazioni quindi non arrivavano più benzina, cioccolata e caffè, di cui bevevamo il surrogato".

Salmoni aveva raccontato a Primocanale il suo ricordo più forte di quel terribile periodo: "Non vedere le SS perché erano scappate al mattino presto e i prigionieri, che avevano lavorato in una fabbrica di armi ed erano quindi armati, che arrestavano i soldati tedeschi rimasti al campo; quelli che tentavano di scappare li facevano andare in un recinto con uno di noi di guardia che impediva che qualcuno potesse entrare e picchiarli. I ricordi brutti li ho cancellati, li ho mandati via".

 

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