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La caserma Botti di Ruffino fu uno dei pochi centri di raccolta per i profughi istriani. Alcuni cittadini ricordano gli anni vissuti in questi spazi da bambini.
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di Emanuela Cavallo

LA SPEZIA - Un capitolo oscuro della nostra storia che portò all’esodo di 350 mila italiani e che continuò fino alla fine degli anni Cinquanta. Il 10 febbraio 1947 furono firmati i trattati di pace di Parigi che assegnavano alla Jugoslavia, l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia. Una data che ci riporta alla fine del secondo conflitto mondiale, in un momento di speranza e liberazione che, invece, per molte famiglie italiane ha significato la perdita delle proprie case, della propria terra e, per molti, anche della vita sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi. Il dramma non si limitò solo alla perdita di luoghi ,che per quelle persone erano la patria e alla cancellazione di intere comunità, ma venne ampliato dalle persecuzioni etniche e culminò nella tragedia delle Foibe, dove perirono migliaia di italiani innocenti.

Alla Spezia i primi esuli arrivarono in più di millecinquecento nel febbraio del ’47 e furono accolti alla caserma Botti di Ruffino. Il centro di raccolta fu uno dei pochi attivi in Italia per affrontare l’esodo forzato e fu ricavato utilizzando la “Regia Caserma Ugo Botti”. La struttura ha ospitato una seduta straordinaria del consiglio comunale spezzino dedicata al giorno del ricordo.

“Un dato stimato ci dice che furono oltre quattromila le persone di origine giuliano-dalmata ospitate in città nell’immediato dopoguerra – ha spiegato il sindaco Pierluigi Peracchini -. Davanti a quella situazione tragica, in risposta a quello che la storia chiamerà "l'esodo istriano", La Spezia fu, ancora una volta, terra d'accoglienza. Migliaia di esuli, intere famiglie sconvolte da una ferocia che neppure la guerra aveva espresso, arrivarono in riva al nostro golfo, passando per Ancona o per Bologna, dopo aver lasciato da Pola, Parenzo, Capodistria, Buie, Umago e Rovigno. Erano italiani di tutte le classi sociali: operai e contadini, professionisti, impiegati pubblici, artigiani e bambini, spesso rimasti soli, a cui la ferocia dell’epurazione etnica aveva strappato anche gli affetti più cari. Qui, al campo profughi cittadino, alla caserma "Ugo Botti", in queste stanze in cui venne cercato di dare loro riparo, i marinai italiani, e poi gli spezzini, seppero dare loro asilo. Ne arrivarono migliaia da quel febbraio del 1947 e una parte di loro è rimasta alla Spezia divenendo parte della nostra comunità, contribuendo alla crescita di questa città che ha saputo sempre ospitare e adottare. Dopo il passaggio in questa caserma -, conclude Peracchini -, che per tanti divenne una casa definitiva, per molti vi fu la possibilità di ricominciare nei “villaggi per gli esuli” di Via Lunigiana e di Rebocco, luoghi che devono essere anch’essi patrimonio della nostra memoria perché sono parte fondamentale della comunità che siamo oggi”.

“Sono arrivata qui che ero una ragazzina, avevo tredici anni, ci ho passato tutta la mia giovinezza, ci sono rimasta per dieci -. Racconta la novantaduenne Dina Bolletin -. Avevamo una casa con giardino e abbiamo lasciato ogni cosa. Ricordo tutto: il giorno in cui lasciammo Pola, la nave, la tristezza della mia famiglia. Quando siamo arrivati in questa caserma c’erano i vetri rotti ed era freddo. In pochi giorni sono stati allestiti gli alloggi. Ancora oggi mi sento di ringraziare la Marina Militare”. Gli eventi proseguono con l’intitolazione a Norma Cossetto della strada che dalla rotatoria tra via Fontevivo e Via Angela Gotelli collega i nuovi edifici residenziali in via Fontevivo. Il 20 febbraio arriverà alla Spezia il treno del ricordo.

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