FRIULI VENEZIA GIULIA - Nell’ambito dei periodici controlli dei siti archeologici sommersi svolti costantemente in tutta Italia, i Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale di Udine hanno organizzato, nel territorio di competenza, il monitoraggio di un vasto specchio di mare compreso tra Grado e Punta Sdobba, sulla foce dell’Isonzo, a bordo della Motovedetta CC 401 e in collaborazione con il Nucleo Carabinieri Subacquei di Genova.
L’attività di tutela per l’archeologia subacquea è stata svolta insieme al Dipartimento di Studi Umanistici e del Patrimonio Culturale dell’Università di Udine e al personale subacqueo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia. Si tratta di attività ispettive che si ripetono in stretta collaborazione con i citati Enti, grazie all’ausilio degli altri comparti di specialità dell’Arma, come il Nucleo Subacquei di Genova e la Motovedetta classe 400 di stanza alla stazione di Grado, attraverso delle verifiche nei fondali per completare le attività di studio e per la sorveglianza dei siti marini già noti.
I RELITTI
L’attività svolta è stata particolarmente utile perché ha consentito di monitorare un'imbarcazione risalente al III sec. a.C., rinvenuta alcuni anni or sono a circa 7 miglia al largo di Grado, a 19 metri di profondità e sulla quale, a partire dal 2012, è stato applicato un sistema metallico modulare per consentire la valorizzazione in situ di questo bene sommerso. L’intervento ha lo scopo di impedire possibili azioni delittuose di sottrazione di antichi manufatti da parte di malintenzionati. Un’importante scoperta è stata poi fatta al largo della Riserva naturale della Foce dell’Isonzo, in prossimità dell’Isola della Cona. Su segnalazione di un pescatore locale sono stati esplorati per la prima volta i resti di quello che fu un convoglio di 4 imbarcazioni in ferro della misura di 20 metri per 6,5 e risalenti ai primi del ‘900, che si trovano ancora in asse tra loro.
LA STORIA
Si tratta di relitti di chiatte per il trasporto di materiali, utilizzate come supporto logistico alle batterie italiane dislocate sulla foce dell’Isonzo nel periodo della Prima Guerra Mondiale. È verosimile che, con la ritirata di Caporetto, nell’ottobre del 1917, siano state fatte affondare in quella posizione, mentre erano alla fonda, proprio per non cadere nelle mani del nemico durante le fasi di ripiegamento delle truppe sull’Isonzato.
Tra il 27 e il 30 ottobre, mentre le batterie italiane sull’Isonzo continuavano a tirare contro gli austriaci in piena avanzata, il Comando di Grado cercò di recuperare armi, munizioni e galleggianti, sotto il fuoco dell’artiglieria austro-ungarica e in condizioni atmosferiche proibitive, autoaffondando natanti e galleggianti che non potevano essere salvati. Il ritrovamento, importante per il contesto storico, permetterà di scrivere un altro tassello nella lunga e complessa storia che ha riguardato le battaglie dell’Isonzo, a quel tempo combattute nel settore del litorale fra Monfalcone e Tagliamento.
L’attività descritta consente di proteggere i siti archeologici sommersi che sono sottoposti al naturale stress ambientale, alla costante minaccia della pesca sregolata e all’attività subacquea mirata all’impossessamento illecito del patrimonio culturale sommerso.
A tale proposito i Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale ricordano che l’attività di ricerca di reperti archeologici sommersi – la cui proprietà è dello Stato – è riservata al Ministero della Cultura e che, nel caso di rinvenimento fortuito, lo scopritore dovrà, entro le successive 24 ore, farne denuncia al Soprintendente o al Sindaco della località dove è avvenuta la scoperta oppure ai Carabinieri.
IL COMMENTO
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