Attualità

La responsabile del centro antiviolenza: sono sempre più le straniere a rivolgersi a noi, non integrate, che non parlano nemmeno la lingua
2 minuti e 17 secondi di lettura
di Eva Perasso



Il caso della donna che si è gettata nel vuoto a Genova Sampierdarena questa settimana punta i riflettori, ancora una volta, sul tema della fragilità delle donne davanti alla violenza. Le situazioni simili sul nostro territorio sono molte, ed è cambiata la tipologia di donne in difficoltà. Sempre più infatti sono straniere, non conoscono la lingua, dipendono in tutto e per tutto dai loro mariti e compagni.

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Un carico emotivo troppo forte

"E' una situazione che fa riflettere sulla disperazione di queste donne - commenta a Primocanale Manuela Caccioni, responsabile del centro antiviolenza Mascherona di Genova -. Sappiamo che denunciare e intraprendere un percorso di uscita dalla violenza, o in un centro antiviolenza, o andando a far denuncia a un commissariato, in tribunale, è un carico emotivo molto forte dove le donne spesso hanno paura di non essere credute e questo le porta a stare nella relazione maltrattante".

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La paura di perdere i figli

Continua Caccioni: "Una volta che riescono ad avere la forza di andare a denunciare quel che succede si trovano poi in un meccanismo più forte di loro. Questo comporta la paura e quella principale è quella di perdere i figli".
Nella tragedia della donna che si è tolta la vita, una donna con 4 figli, "C'è la disperazione di una donna e la sua paura di non essere creduta come madre, disperazione che può portare a compiere un atto estremo proprio perché terrorizzata dal non essere creduta. Sappiamo che non è facile portare delle prove e molte volte non essere giudicate perché si è state in quella relazione", spiega ancora la responsabile del centro antiviolenza.

Famiglie fragili

Traspare la fragilità, non solo della donna ma di tutta la famiglia e come questa di tante altre famiglie: "Emerge anche la tristezza di trovare delle giustificazioni. Non possiamo continuare a giustificare comportamenti violenti e dobbiamo iniziare a cambiare la nostra cultura, smettere di dare giustificazioni e sentenze in cui si giustifica il maltrattamento", spiega Caccioni.

Sempre più straniere

Purtroppo le situazioni simili sono tante ed è cambiata la tipologia delle donne che accedono ai centri antiviolenza. "Dieci anni fa erano soprattutto italiane - commentano dal centro antiviolenza - ora sono straniere, e la maggior parte non è integrata, non parla italiano, non ha lavoro, spesso non ha nemmeno documenti. Ci troviamo con barriere linguistiche enormi che compromettono l'uscita dalla violenza. La donna rimane emarginata dalla società e non ha la libertà di chiedere aiuto".

 

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