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di Franco Manzitti

Il re è nudo, ma nessuno vuole gridarlo. La pandemia sta per compiere due anni, anzi forse li ha già compiuti e un anno dopo l’urlo liberatorio per la conquista del vaccino  nessuno vuole ammettere che questa terribile disgrazia planetaria, che ha cambiato le nostre vite, non è ancora alla fine. Anzi. D’accordo: ci sono molti meno morti di un anno fa, almeno in casa nostra. Il virus cerca di bucare i vaccini e per fortuna non ci riesce, ma dilaga con le varianti come la Omicron, che saranno pure meno gravi, destinate a diventare un endemico raffreddore, ma quante altre Omicron arriveranno dagli angoli sperduti e non vaccinati del mondo?

Lentamente ma non troppo i reparti Covid si riempiono anche da noi, che eravamo i migliori, e le terapie intensive salgono. Il ritorno ai colori ci aspetta dietro l’angolo. Il vaccino serve, ma non basta. Perché nessuno lo urla? Da due anni viviamo ogni giorno in un mondo pandemico globale. Le terapie intensive piene in Germania, il nostro modello di efficienza e preparazione fino a un anno fa, il disastro semisegreto dei paesi dell’Est, con i morti a caterve nascosti a Mosca, cosa ci dicono?

Che il virus galoppa, non solo dove si è vaccinato poco per colpa di regimi autoritari o ignoranti, ma anche nei Paesi dove la percentuale di vaccinazione è alta, come Portogallo e Spagna: si muore anche lì molto meno, ma il contagio continua, si rianima, sale. Mentre la nostra attenzione torna spasmodica a quel bollettino del pomeriggio, che ha le curve tutte in salita, mentre precipitiamo nella stagione fredda,  dobbiamo chiederci se la nostra ricetta -vaccini più restrizioni- è sufficiente o dobbiamo fare altro. E che altro?

Oramai la nostra vita è cambiata e almeno potremmo riconoscere che siamo destinati alla vaccinazione perenne e a restrizioni permanenti e che siamo rassegnati a questo. Oltre che, alla mascherina sempre o quasi, agli incontri Zoom, alla Dad a singhiozzo, agli isolamenti improvvisi, ai tamponi di corsa fatti nella farmacia sotto casa alla prima febbre sospetta, ai messaggi delle mamme da una classe all’altra per capire, per sapere, allo smart working che riparte e non si fermerà mai, al Veglione di Capodanno sospeso per il secondo anno, alle feste ristrette, a incontrarci per strada e chiederci come salutarci, magari non riconoscendoci più perché la mascherina cambia e gli anni passano….

Viviamo in un altro modo. C’è un “prima” e un “dopo” che resteranno nella storia. E poi c’è questa spaccatura totale con una parte della nostra società, oseremmo dire della nostra civiltà, che sono i negazionisti i no vax. Sono tra di noi, nelle nostre case, nelle nostre famiglie, tra i nostri amici, tra i conoscenti. Una frattura simile non era mai avvenuta ed anche se sono una minoranza questa “differenza”, che non si declina come una opinione, ma può essere tra la vita e la morte, ci segnerà a lungo. C’è una controcultura di questa Grande Crisi, misurata bene, per esempio, dal Censis. I numeri ci dicono che per tre milioni di italiani il Covid non esiste e che per sei milioni il vaccino è inutile. Si potrebbe aggiungere che per il 5,8 dei cittadini la terra è piatta e il 10 per cento è convinto che l’uomo non è mai arrivato sulla Luna.

Tutto costruito, tutto finto. Come, appunto, il Covid. Siamo nel campo della irrazionalità, del controsapere stregonesco e sciamanico, di un senso occulto della realtà . E’ come se per costoro la realtà avesse un doppio fondo e li si nasconde la verità, celata da un potere violento, tecnologico, scientifico, universale. Non siamo in un film di fantascienza. Basta andare a finire in un corteo del sabato pomeriggio nel centro di Genova, sotto i gradini del Ducale ed eccola lì questa nuova condizione che la pandemia ci ha portato. Forse urlare non basta, per uscire dall’incubo.